Ho una bruttissima notizia per voi. Tremenda
Ho la vostra attenzione? Penso proprio di sì. E volete sapete perché?
Perché siamo programmati a reagire in maniera più profonda alle informazioni negative che a quelle positive. È più forte di noi. Non lo dico io: lo dice uno studio dell’Istituto di Neuroscienza Cognitiva della University College di Londra.
Ai partecipanti venivano mostrate su uno schermo parole subliminali, troppo veloci perché potessero leggerle. Parole legate a sentimenti positivi, come gioia, pace, o fiore; parole neutre, come orecchio, o bestiame; e parole legate a sentimenti negativi, come disperazione, agonia, omicidio.
Quasi tutti riuscivano a ricordare correttamente più le parole negative che quelle positive, nonostante nessuno fosse effettivamente consapevole di averle viste o lette.
Questo significa che il nostro cervello è programmato per processare le informazioni negative più facilmente di quelle positive.
E questo cosa implica per noi fundraiser?
Conferma quello che forse sapevamo già dalla nostra esperienza, che è più probabile che le persone reagiscano ad una situazione negativa, ad un problema non risolto, ad un’emergenza, ad una crisi, ad un nemico, rispetto ad una situazione positiva, ad un problema già risolto, al vissero tutti felici e contenti.
La motivazione di un donatore è più forte in risposta ad una situazione negativa. La sua attenzione viene catturata più facilmente. La nostra comunicazione scava più in profondità.
Diciamoci la verità: sarebbe il sogno di tutti noi poter fare campagne di raccolta fondi in cui il messaggio è: “va tutto alla grande! È tutto meraviglioso! Aiutaci a mantenere le cose così come stanno!”.
Ma l’amara verità è che campagne di questo tipo non funzionano! Perché vanno contro la psicologia umana.
Il messaggio che deve passare è sempre e comunque: “C’è UN PROBLEMA. UN’EMERGENZA. Solo tu puoi aiutarci a risolverli”.
C’è chi dirà: ma questo vuol dire prendere per il… naso il donatore. Eh no! Non è che usiamo la psicologia per fregarlo. Gli dobbiamo sempre e comunque il rispetto: e soprattutto, gli dobbiamo la verità. Dobbiamo solo fare in modo che questa verità lo porti ad agire.
Se un donatore non è motivato ad agire, se il nostro messaggio non scava abbastanza in profondità, non lo impressiona, non lo smuove, come possiamo pretendere di risolvere emergenze come la fame, le malattie, la povertà?
Non facciamo fundraising per tranquillizzare la gente. Lo facciamo per cambiare in meglio le cose.