Professione Fundraiser

Il fundraising visto dai fundraiser: intervista a Desirée Piromalli

Le interviste ai fundraiser proseguono. Università, cultura, volontariato, ambiente. E’ ora la volta della ricerca sanitaria, un settore delicato e fondamentale, in cui il fundraising è una leva di sostenibilità fondamentale (è di gran lunga la principale destinazione delle donazioni degli “italiani donatori”, il 68% dei quali l’ha scelta come oggetto del proprio sostegno nel 2013).

Ne parliamo con Desirée Piromalli, corporate fundraiser presso AIRC – Associazione Italiana Ricerca sul Cancro.

Desirée, il suo può essere un osservatorio considerato “privilegiato”, anche per la notorietà dell’Associazione presso cui opera. Ci vuole dare una sua impressione generale, una sua “fotografia” del ruolo del nonprofit e del suo stato?

Sicuramente la realtà in cui ho la fortuna di lavorare è una realtà storica sul territorio italiano. AIRC ha quasi cinquant’anni di lavoro alle spalle, ma ho anche la fortuna di potermi confrontare con colleghi di diverse realtà del non profit a livello nazionale.

Dal mio punto di vista, il nonprofit, risponde – nei fatti – a delle mancanze a livello statale, pubblico. E’ una risposta di partecipazione sociale, ma per potersi affermare sempre di più come importante attore nella nostra società attuale ha bisogno di essere riconosciuto come interlocutore autorevole nei singoli ambiti in cui interviene. Favorire la conoscenza capillare del lavoro di molte Associazioni, ONG e realtà locali a livello nazionale, internazionale o regionale è sicuramente il primo passo che molte di queste realtà hanno compiuto in maniera molto interessante negli ultimi anni.

La riconoscibilità della singola realtà nonprofit si realizza attraverso la comunicazione dei risultati, la trasparenza e l’efficienza della raccolta fondi e tutto questo è possibile grazie al lavoro di tanti professionisti che si muovono in questa direzione. Il riconoscimento del loro lavoro è fondamentale e in alcuni casi è ancora un obiettivo, non una realtà compiuta. Ma il dinamismo che caratterizza il terzo settore fa essere ottimisti.

Se le dico fundraising, cosa mi risponde?

Passione, progetti e lavoro in sinergia.

Il fundraising è dare valore concreto ad un obiettivo o progetto coinvolgendo la società, i cittadini, i vari portatori di interesse nel perseguirlo.

E’ trasformare in concretezza un’idea.

 

La professione di fundraiser. Cresce il numero delle persone che – a vario titolo – se ne occupano. Un pregio e un difetto di questo lavoro.

Un grande pregio di questo lavoro è la possibilità di realizzare anche quelle che possono sembrare utopie. Il fundraiser, dal mio punto di vista, deve saper gettare il cuore oltre l’ostacolo e coinvolgere gli altri nel superare, insieme, quell’ostacolo.

Il difetto che credo possa essere più evidente è che si tratta di un lavoro ancora poco conosciuto, se usciamo dalla nicchia degli “addetti ai lavori”.  Necessita sicuramente di regolamentazioni e tutele di settore. Con il tempo verranno e i modelli, altrove, non mancano.

Il rapporto fra nonprofit e profit è spesso caratterizzato da una costante difficoltà. Lei opera direttamente su questo tema: mondi così lontani?

Assolutamente no. Le aziende sono sempre più sensibili ed aperte al dialogo con le realtà nonprofit: la CSR è sempre più spesso parte integrante delle strategie aziendali. Ma anche da un punto di vista di collettività, in questo momento storico coinvolgere i dipendenti oltre l’azienda stessa è un grande valore aggiunto.

Sono mondi diversi, gli obiettivi in alcuni casi si differenziano molto da quelli della realtà nonprofit, ma la differenza la fanno sempre le persone che sposano una causa e portano all’interno della loro azienda una proposta culturale che diventerà, ad esempio, un progetto di raccolta fondi per la charity e che porterà un valore aggiunto per l’azienda.

Sono mondi che necessitano di conoscersi meglio e di integrarsi per raggiungere insieme degli obiettivi. E in molti casi di successo, la soddisfazione è di entrambi.

In 10 parole, un suo sogno per la società di domani.

Equa e sostenibile per tutti i cittadini, italiani e non. Il livello di partecipazione dev’essere prima di tutto un approccio mentale per diventare un modus operandi di tutti i cittadini

Alberto Cuttica – www.engagedin.net