Professione Fundraiser

Internet e fundraising all'italiana: intervista a Paolo Ferrara

Oggi Fund Raising Magazine intervista Paolo Ferrara, direttore raccolta fondi della ong Terre des Hommes Italia, che è protagonista in questo momento dell’utilizzo degli strumenti offerti da internet per la raccolta fondi e la comunicazione delle organizzazioni nonprofit in Italia. Terre des Hommes in pochi mesi ha aperto un blog, un profilo su myspace, un sito per una campagna specifica.

FS (Francesco Santini): Da che cosa è nata, oltre che dalla tua passione per gli strumenti del web 2.0, l’idea di fare un blog per l’organizzazione per cui lavori?

PF (Paolo Ferrara):Premetto che la passione per gli strumenti del web 2.0 è nata innanzitutto dalla consapevolezza che il modello di comunicazione unidirezionale usato dalle organizzazioni non profit nei primi anni di diffusione della rete fosse poco coerente con le logiche secondo le quali stava evolvendo Internet e iniziasse anche a tirare la corda in termini di raccolta fondi (pensa alla crisi in cui si dibatte l’email marketing italiano)

Vorrei mettere però sul piatto anche altri due temi che ritengo centrali. Il primo è quello della partecipazione e della costruzione di una relazione di lungo periodo con i nostri donatori. E’ una lezione tanto antica quanto dimenticata dai fundraiser italiani, eppure le nuove tecnologie ci danno la possibilità di comunicare a costi sempre più bassi e in maniera sempre più diversificata con i nostri donatori. E ci danno anche la possibilità di coinvolgerli in maniera sempre più profonda e diretta nella vità della nostra onp, fino a trasformarli nei nostri più entusiasti e vincenti fundraiser. Perché non cogliere questa opportunità fino a poco tempo fa insperata?

Il secondo tema è quello della trasparenza. I nostri donatori ci chiedono sempre di più di essere coinvolti nei progetti, vogliono ricevere informazioni, vedere i risultati, guardare in faccia le persone che lavorano sul campo, ascoltare (e vedere) le storie e le facce delle persone a cui, anche grazie al loro aiuto, siamo riusciti a cambiare la vita. E’ una sfida per le organizzazioni non profit. Ma è anche una grande opportunità e Internet può aiutarci a raccoglierla.

Il blog, e tutta la strategia di Terre des hommes di questi mesi su Internet, è stata una risposta a ognuno di questi aspetti. Per questo è nato il canale video di Terre des hommes (dove per primi abbiamo pubblicato le interviste ai nostri operatori sul campo), il sito iosonopresente.it (in cui abbiamo fatto partecipare in maniera insolita la rete su una campagna per il diritto all’istruzione) e, ultimo arrivato, uno spazio su myspace dove stiamo esplorando un modo nuovo di comunicare con la rete.

FS: Quali sono state le prime questioni che avete affrontato per la sua creazione? E’ stato facile farne capire l’importanza all’interno dell’organizzazione?

PF: Metti il dito sull’aspetto più critico. La diffidenza che molte organizzazioni hanno nei confronti della rete. I motivi sono principalmente due.

  • Il primo: qual’è il ritorno in termini di raccolta fondi di questi nuovi strumenti?
  • Il secondo: ma come ci comportiamo in caso di commenti critici o imbarazzanti?

Come fundraiser la mia preoccupazione è soprattutto sul primo aspetto, ovviamente. Abbiamo bisogno di nuove metriche per valutare il ritorno sugli investimenti di questi nuovi strumenti e in rete è tutto un interrogarsi su questi temi, anche se non abbiamo ancora trovato la quadratura del cerchio. Ma non dobbiamo dimenticarci che rendicontare in maniera trasparente quello che facciamo è un nostro dovere e una necessità se vogliamo vincere la sfida che i tempi nuovi ci impongono.

Da questo punto di vista il blog è anche un ottimo strumeno di pubbliche relazioni e, come dico spesso, ben vengano le critiche e i commenti più aspri. In genere chi da voce ai propri sentimenti sono i donatori più attenti e che più hanno a cuore le sorti dell’organizzazione. Non dobbiamo temere i loro interventi ma il loro silenzio. Detto questo devo dire che a Terre des hommes ho avuto la fortuna di trovare un clima molto collaborativo che ci ha permesso di lanciare in pochi mesi diversi progetti, fortunatamente assistiti da una serie di partner che ci hanno offerto gratuitamente molti dei loro servizi.

Ovviamente questo ci ha permesso anche di dedicarci con più attenzione alle strategie e, soprattutto, alla creazione di una rete di contatti. Nel nuovo mondo del fundraising 2.0 (come del resto in quella del fundraising 1.0) le relazioni rimangono il più grande patrimonio di un’organizzazione e senza un lavoro serio di networking qualsiasi progetto rischia di nascere senza fiato o, peggio ancora, di richiedere più risorse economiche di quante non riesca a generarne.

FS: Per te l’investimento su un blog per una ong richiede maggiori sforzi e investimenti nel campo tecnologico o nella ricerca e produzione di contenuti?

PF: Gli investimenti tecnologici necessari ormai sono bassissimi o prossimi allo zero. Creare un blog, uno spazio su myspace, un wiki o partecipare alla grande conversazione che si tiene nella blogosfera o nei vari social network non richiede grandi risorse tecnologiche. Richiede sopratutto consapevolezza dei mezzi, chiarezza degli intenti e una grande disponibilità all’ascolto e alla partecipazione e, sempre di più (ma di questo abbiamo parlato in altre occasioni e credo sia il caso di riprendere il lavoro) di quello che Steve Bridger chiama buzz director, ossia una persona deputata a seguire la conversazione.

I contenuti e le strategie sono il vero fulcro del nostro lavoro e sono venuti come conseguenza dell’ascolto (offline prima che online) della nostra base e probabilmente muteranno ancora sulla base quello che ci diranno i nostri sostenitori e anche sulla scorta, inevitabilmente, di quello che accadrà fuori dalla rete. Una delle cose che abbiamo scoperto, per esempio, è che partito il blog di Terre des hommes, dopo qualche settimana, diversi dei nostri cooperanti, soprattutto i più attivi nel partecipare al blog, erano impazienti di far partire un loro spazio su Internet: un posto dove dialogare con i sostenitori italiani, ma anche dove far parlare i partner e i beneficiari dei progetti, compresi i bambini. Per questo stiamo già ripensando il blog “istituzionale” per fare spazio ai blog dei progetti e questo, come puoi immaginare, significherà anche un decentramento nella produzione dei contenuti e quindi, di nuovo, più spazio per concentrarci sulle strategie.

FS: Quali sono i risultati che avete raggiunto con il blog? come hanno risposto i vostri donatori, i simpatizzanti? sei soddisfatto dei risultati raggiunti?
PF: La reazione dei nostri donatori da questo punto di vista è stata chiara: il blog è diventata immediatamente la seconda pagina più visitata del sito (dopo la home page) e ha contribuito notevolmente alla crescita esponenziale del sito in questi mesi e, anche se con qualche difficoltà a usare lo strumento dei commenti, in più di un’occasione i nostri sostenitori ci hanno ringraziato per avergli fornito informazioni costanti sull’andamento di un progetto o rassicurazioni sulle condizioni dei nostri beneficiari dopo un’emergenza. Questo significa che il blog rappresenta per loro un ponte verso il progetto che hanno adottato o il paese in cui vive il bambino che sostengono a distanza e credo che dovremo necessariamente proseguire in questa direzione.

FS: E’ il blog per una organizzazione nonprofit uno strumento maggiormente indicato
per “parlare” con i donatori o per “aprire” l’organizzazione anche a persone, non ancora donatrici, ma interessate a conoscere più a fondo l’operato dell’organizzazione?

PF: Nel nostro caso è innegabile che ci siamo rivolti sopratutto ai donatori. Ma il blog è uno strumento fantastico anche per aprire l’organizzazione all’esterno e per mettere in contatto la rete degli attivisti e dei volontari (pensa al successo del blog di greenpeace o alla partecipazione ai blog di piccolissime organizzazioni locali dove pure la partecipazione è elevata, perché elevato è il coinvolgimento umano). Non dimentichiamo poi che il blog può essere anche uno strumento unico per migliorare la comunicazione interna e rendere i processi interni più democratici e partecipati. Leggo anche in questo senso la richiesta dei nostri cooperanti di aprire un blog dei loro progetti.

Permettimi di chiudere con un’annotazione: come giustamente hai scritto in un’occasione recente, stiamo attenti all’illusione che il web 2.0 sia diventata la chiave di volta per ogni nostro problema. E’un modo nuovo di usare Internet, che in parte sta rivoluzionando anche il nostro modo di comportarci sia in rete che fuori dalla rete, ma continuerà a coesistere con “vecchi” strumenti (la newsletter, la mail, i banner, il posizionamento sui motori di ricerca, le adwords, ecc.) e i soliti imprescindibili obiettivi (come l’implementazione di un database, l’aumento e la diversificazione dei fondi raccolti, l’aumento della visibilità e dei visitatori unici, ecc. ecc.). E tutto questo, come ci insegna anche un guru del fundraising come Marcelo Inarra, non può che muoversi dentro una strategia multicanale (direi integrata) che comprende tv, stampa, direct mailing, eventi e quant’altro abbiamo conosciuto fino a oggi e che dovremo semmai imparare a fare meglio sfruttando le interazioni con il web “dal volto umano”.