Professione Fundraiser

Intervista a Marianna Martinoni

Marianna Martinoni Teatro dell'inutile

Nella rubrica “Intervista a un fundraiser” di luglio parliamo con Marianna Martinoni, Responsabile comunicazione e fundraising del Teatro de Linutile di Padova, www.teatrodelinutile.com

Sara: Da quanti anni lavori nel fundraising?

Marianna: Lavoro nel fundraising da 10 anni esatti.

Sara: Qual è il tuo ruolo e di cosa ti occupi esattamente?

Marianna: Oggi sono consulente di fundraising, con un particolare interesse per le organizzazioni che operano nel settore culturale, ma seguo anche organizzazioni non profit che operano nel settore della ricerca scientifica e del settore socio sanitario. Lavorare come consulente implica occuparsi di diversi aspetti della strategia di fundraising delle organizzazioni, dall’ideazione del piano di fundraising “giusto” per ogni cliente alla sua implementazione, dalla comunicazione alla gestione dei volontari, dai rapporti con i donatori alla valorizzazione delle relazioni dei componenti dei direttivi, dagli incontri con le aziende fino alla formazione delle risorse umane ?

Sara: Cosa ti ha spinto a svolgere questa professione?

Marianna: Sicuramente l’idea di poter essere determinante nella riuscita di progetti che mi appassionavano, in cui credevo, ma che non avevano possibilità di realizzarsi senza una strategia di finanziamento a lungo termine.

Sara: Parlaci di un progetto che stai seguendo in questo periodo.

Marianna: Dal 2008 sono responsabile fundraising del Teatro de Linutile a Padova: il nome, già lo capite, è una provocazione, ma anche una bella sfida per chi deve fare fundraising ? Linutile è un piccolissimo teatro da 60 posti ricavata da un ex fabbrica di semafori, che in pochi anni ha saputo guadagnarsi un ruolo e un peso tutto speciale in città, un luogo accogliente e informale dove ognuno può avvicinarsi al teatro nel modo che preferisce: la prima volta si viene in giacca o tacchi alti, la seconda si torna in jeans e scarpe da ginnastica.  L’attività costante di fundraising e il coinvolgimento di soggetti privati ha permesso al teatro di realizzare attività e i progetti: in questi 5 anni Linutile ha lavorato moltissimo per creare iniziative in grado di favorire la crescita culturale e sociale della comunità locale, incoraggiando la partecipazione alle arti dello spettacolo di diverse categorie di pubblico, in modo particolare dei giovani.

Sara: Parlaci di una campagna o di un progetto a cui stai lavorando in questo momento.

Marianna: Da due anni è stata creata una Accademia teatrale professionale che si rivolge però solo a bambini e ragazzi dagli 8 ai 18 anni. Si tratta di un progetto che mette insieme il teatro e la possibilità di intervenire in anticipo sul superamento di situazioni di disagio giovanile tipiche del periodo adolescenziale: è stata fondata nel 2011 con il sostegno di un importante fondazione di erogazione locale, che ha creduto nel valore di una Scuola teatrale che sia anche un’importante opportunità di crescita culturale dei nostri ragazzi.

Sara: Quali sono i principali ostacoli che affronti quotidianamente nel tuo lavoro?

Marianna: Soprattutto la scarsa conoscenza del fundraising, poco diffuso nel settore culturale, condotto per lo più in modo discontinuo e scarsamente professionale, estemporanea, limitata ad occasioni temporanee, ma soprattutto non percepito come funzione strategica nella costruzione di politiche di coinvolgimento dei privati. A questo aggiungo una diversa propensione del donatore medio a donare per progetti in ambito culturale rispetto a “cause” più sentite come meritorie di sostegno.

Sara: A proposito del tema fundraising e cultura pensi che in Italia qualcosa stia cambiando?

Marianna: Fino ad una decina di anni fa – quando ho iniziato ad occuparmi di fundraising per il settore culturale – il tema della ricerca di fonti di sostegno alternative a quelle tradizionali toccava solo marginalmente l’universo composito delle istituzioni culturali italiane. In questo arco di tempo la situazione è cambiata radicalmente: il ruolo dello Stato si è indebolito ( 2.201 milioni di euro stanziati per le arti e la cultura nel 2005 dal MIBAC, a fronte del 1.509 (-45%) per il 2011) e così quello degli Enti locali a tutti i livelli.  Di fronte a questo cambiamento radicale, tutti i settori della cultura e dello spettacolo si trovano oggi costretti – uso non a caso questo termine – a ideare nuove politiche di sostenibilità, a ridurre la tradizionale dipendenza da un unico finanziatore (quello pubblico, sempre più indisponibile) e coinvolgere nuovi potenziali donatori, pubblici e privati, al fine di generare un flusso costante di risorse per le attività istituzionali e lo sviluppo nel tempo. FAI ? Fondo Italiano Ambiente, Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia, MAMBO di Bologna, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino: sono solo alcuni casi che già hanno costruito strategie di raccolta efficaci su diversi mercati. A guardar bene si tratta di organizzazioni in cui viene incentivata la partecipazione consolidata dei privati attraverso lo sviluppo di competenze specifiche (ebbene si, ci sono dei fundraiser anche nelle organizzazioni culturali!) ma soprattutto attraverso scelte basate  sul coinvolgimento e sulla valorizzazione del legame con la comunità. Molto resta sicuramente da fare, sia in tema di creazione di procedure incentivanti la donazione, ma soprattutto di crescita di una cultura del fundraising sia all’interno delle organizzazioni culturali stesse, sia tra i potenziali sostenitori, aziende o privati cittadini. Pur essendo nel Paese che tanto decanta la Cultura tra i propri asset strategici sviluppo, direi che c’è solo da rimboccarsi le maniche e cominciare: la strada si presenta lunga e difficile ?

Sara: Se avessi una bacchetta magica cosa cambieresti nel tuo lavoro? E nel nonprofit?

Marianna: Vorrei vedere maggiormente riconosciuta la professionalità dei fundraiser, sia dai potenziali sostenitori, sia molto spesso dalle stesse organizzazioni non profit (parlo soprattutto di quelle medio piccole che sono il mio quotidiano). Ogni volta che inizio una consulenza so di dover mettere in conto lungo periodo in cui dovrò lavorare solo a far comprendere il ruolo che una figura come quella del consulente di fundraising può avere se ha la possibilità di affiancare l’organizzazione in modo strutturale, non chiamato all’ultimo minuto per risolvere l’emergenze.

Sara: Cosa avresti voluto sapere agli inizi della carriera che oggi ti sarebbe servito?

Marianna: Che esiste una rete di professionisti che non necessariamente si concepiscono come competitor tra di loro che fanno capo all’Associazione Italiana Fundraiser, che oggi ha persino dei gruppi territoriali, dove è possibile trovare informazioni concretamente spendibili per fare questa professione, dove è possibile condividere successi e perché no anche insuccessi, dove volendo si può imparare dai colleghi con più esperienza e confrontarsi con quelli più giovani.

Sara: Chi o che cosa ti ha influenzato di più nella vita?

Marianna: In primis i miei genitori, che mi hanno insegnato la differenza che esiste nel fare il proprio lavoro con infinta passione o scaldare una sedia. Ma ciò che più mi ha cambiata è stato negli ultimi anni l’essere diventata mamma di due splendidi bambini, Edoardo e Marta, che hanno allargato la mia capacità di empatia con le persone che incontro oggi nel mio lavoro e che mi danno ogni giorno la voglia di fare qualcosa per migliorare il mondo che sarà loro domani.

Sara: Descrivici il tuo giorno “perfetto”

Marianna: Il giorno perfetto è quello in cui arrivano risultati di lavoro di mesi e si raggiungono traguardi insperati, dati per irraggiungibili. Il giorno perfetto è quello in cui  riesco a sentire che le persone con cui o per cui lavoro comprendono il senso di ciò che facciamo insieme e percepiscono la passione che sta dietro a questa professione lasciandosi in qualche modo coinvolgere, trasportare.