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Perché il fundraiser non è da considerare un costo inutile

Nel mondo del fundraising, stiamo assistendo a una vera rivoluzione con questa storia della disintermediazione. Partita dalle banche, adesso è arrivata dritta dritta nel nostro campo. Immaginate un po’: ora tutti possono essere donatori e beneficiari, senza intermediari.

Sembra bello, vero? Ma attenzione, non è tutto oro quel che luccica.

Prendiamo il caso di Balocco – Ferragni, per esempio. Senza un fundraiser che sa il fatto suo, si rischia un bel caos. La verità è che, in questo nuovo mondo del dare, serve un bel po’ di savoir-faire per non perdere la bussola.

Ma andiamo in ordine. Iniziamo… dall’inizio!

In questo articolo:

La disintermediazione

Uno degli effetti maggiori della disintermediazione è l’abbattimento dei costi, dovuti alla mancanza dei rincari che ciascun intermediario applica sul valore della merce. E quasi sempre si fa riferimento alla disintermediazione nel mondo nonprofit come al fenomeno abbatterebbe i costi generali. In questo caso, si usa dire “tutto quello che dono va veramente a chi ne ha bisogno”.

Ma è veramente così? Tanti casi, non ultimo il “Pandoro Gate”, Balocco/Ferragni ci raccontano di una mancanza di corretta impostazione fra il beneficiario (Ospedale Regina Margherita) e il donatore (Azienda Balocco).

Forse un ragionamento su cosa stia succedendo con il fenomeno della disintermediazione, vale la pena farlo.

Il termine disintermediazione trova origine nel 1967 in riferimento al settore finanziario e del banking. L’idea era che le nuove tecnologie consentissero agli utenti di svolgere autonomamente tutta una serie di attività che di solito richiedevano figure di mediazione, legate in particolare all’investimento del denaro. In pratica, senza dover passare per forza da una banca (e sostenere un costo aggiuntivo), io investivo direttamente in Borsa, o acquistavo dei titoli o fondi di investimento, in modo completamente autonomo.

La disintermediazione ha acquisito un nuovo significato con l’avvento del mercato virtuale. I venditori come Amazon, ad esempio, creano piattaforme in cui mettono in contatto direttamente acquirente e venditori, eliminando completamente le figure degli intermediari.

Esempi di aziende che applicano i sistemi di disintermediazione includono Apple, che vende molti dei loro prodotti direttamente ai consumatori bypassando così le catene di vendita tradizionali, ma anche E-Bay, Spotify, Airbnb, Uber.

Ma ora questo fenomeno sta avvenendo anche nel nonprofit e in particolare nel fundraising.

Disintermediazione nel fundraising, significa che tutti quanti possono e vogliono diventare fundraiser e donatori delle proprie personali cause. 

La cosa è sicuramente bella, perché in questo modo tutti noi siamo responsabili di ciò che realizziamo nel nonprofit (l’idea che ognuno sia un personal fundraiser a sostegno delle cause che gli interessano, non è male).

Ma, è anche vero che c’è il forte rischio che molte delle persone che fanno delle campagne di raccolta fondi non sappiano bene tutte le regole di una buona raccolta fondi, e successiva donazione, e quindi generare grandi casini.

Oggi ci sono piattaforme di fundraising, sistemi di crowdfunding e i social fundraiser che possono essere una grande opportunità per la raccolta fondi, ma anche un grande rischio. In molti casi dietro queste raccolte fondi non c’è più un fundraiser professionista preparato che cura la campagna e soprattutto l’impatto dei fondi raccolti: ma qualcuno che (a volte in buona fede, a volte no) fa raccolte fondi non sempre corrette.

Ma facciamo un passo indietro: cos’è la disintermediazione?

L’organizzazione nonprofit nel modello classico è l’intermediario tra chi dona e chi riceve, e il fundraiser è la persona skillata, competente, etica, professionale, formata… che chiede la donazione.

Invece, in un mondo disintermediato chiunque può aprire una campagna di raccolta fondi (normalmente via crowdfunding) e raccogliere fondi per una causa che ha definito lui stesso.

1. Immagine Loghi

La disintermediazione è esplosa con il digitale, ma il digitale ne è solamente uno dei fattori. Le piattaforme di crowdfunding e di personal fundraising che ci sono in Italia (nell’immagine solo qualche esempio) sono tantissime, ma ci sono altri fattori che alimentano la disintermediazione.

1. Il senso di fiducia e sfiducia che c’è nel mondo. Le persone, non si fidano, e prima di donare vogliono sapere e vedere immediatamente cosa sta succedendo.

2. C’è una volontà di controllo della donazione che sta crescendo.

3. Il digitale è “sempre aperto” e quindi facilita la raccolta fondi. Una qualunque organizzazione nonprofit è aperta per un tempo limitato, certamente non 24 ore al giorno per sette giorni.

4. Il digitale è semplice da utilizzare e molte volte più efficiente.

5. Può avere un tocco personale.

2. Immagine Mondo Disintermediato

Oggi per cosa raccogli fondi?

Voglio raccogliere fondi per quella specifica organizzazione nonprofit” è l’affermazione che rappresenta il modello classico di raccolta fondi.

Ma in un modo disintermediato succede che, oltre all’organizzazione nonprofit, esiste anche la cosiddetta “mia causa”, ossia quella causa di cui tutti si possono fare carico, di cui tutti possono diventare fundraiser, ma che non è direttamente legata a una organizzazione nonprofit formalmente costituita. Magari è un quartiere che ha subito un’alluvione, o una persona che sta male, o una famiglia in difficoltà, o qualcuno che ha subito una discriminazione (sul lavoro, di orientamento sessuale, o religioso, ecc) e che ha bisogno di aiuto.

Le piattaforme di crowdfunding da questo punto di vista sono impressionanti perché possono raccogliere per tante piccole cause personalizzate.

3. Per Cosa Vuoi Raccoglier Efondi

Il modello con intermediario

In un modo intermediato dalle organizzazioni nonprofit, cioè che agiscono come “corpi intermedi” fra il donatore e il beneficiario, tutto è relativamente semplice e soprattutto controllabile e verificabile.

Per esemplificare ho disegnato nello schema un’ipotesi in cui ci siano 6 donatori e 4 progetti. Gli incroci possibili, con l’organizzazione nonprofit che fa da intermediario, sono 10 (risultato di 6+4). In altre parole, le scelte possono apparire poche, ma la possibilità di verificare che la transazione sia andata buon fine, che i soldi siano stati usati bene, è tutto sommato più facile da realizzare.

4. Modello Con Intermediario

Il modello senza intermediazione

Ipotizziamo invece un mondo senza intermediazione delle organizzazioni nonprofit. In cui ognuno può raccogliere fondi, e può anche scegliere di donare per un caso che gli interessa. Io dono per “aiutare il mio vicino di casa a fare la cuccia per il cane abbandonato”, io dono per “aiutare una mamma a stare in albergo vicino all’ospedale dove è ricoverato suo figlio”. Ipotizziamo che siano sempre 6 donatori e 4 progetti ma in questo caso, senza l’organizzazione e quindi la figura del fundraiser nel mezzo, gli scambi possibili sarebbero 24!

In confronto a prima gli scambi sono aumentati in modo più che proporzionale.

5. Modello Senza Intermediazione

Questo un esempio con soltanto quattro cause, ma provate a immaginare cosa significhi aumentare enormemente il numero di casi da finanziare. Sarebbe una frammentazione incredibile e quindi difficilmente controllabile.

Se i casi invece di essere solo quattro iniziano a essere quaranta, quattrocento, quattromila cause, senza un intermediario che li raggruppo, la realtà diventa immediatamente più complessa, più rischiosa. Magari con più alternative, con maggiori scelte, con maggiore “libertà”, e questo è sicuramente un dato a favore della disintermediazione, ma alla verifica dei fatti, può essere una ulteriore complicazione, soprattutto per chi è deputato al controllo che la fiducia dei donatori non venga in nessun modo tradita.

Le tre PERSONE nel fundraising

Ma la realtà in un mondo nonprofit disintermediato non è semplicemente più complessa perché ci sono più possibili transazioni, più verifiche da fare, più cose da controllare. Lo è anche perché nessuno può garantire che “chi chiede” i soldi sia una persona competente e capace di farlo.

Voi direte: “Ma cosa ci vuole a chiedere soldi? Basta farlo!”. È vero! Ma la richiesta di fondi è solo una delle attività che fa un fundraiser. C’è anche la scelta del progetto, la definizione di un budget di spesa giusto e ragionevole per raccogliere fondi (sì per raccogliere fondi bisogna spendere soldi!), ma anche il ringraziamento adeguato, la rendicontazione di come sono stati spesi i soldi, la nuova richiesta, l’upgrade della donazione, ecc.

Vedete, si dice spesso che nel mondo del fundraising ci siano sostanzialmente tre P, che rappresentano le 3 Persone implicate nel processo di fundraising:

• c’è una persona che chiede, i fundraiser professionisti,

• c’è una persona che dona, il donatore o la donatrice che decide di impegnarsi,

• c’è una persona che riceve, il beneficiario che riceve dall’impegno di un fundraiser e di un donatore che insieme aiutano questa persona terza.

6. Le Tre P

Concentrandoci sulla figura del fundraiser, ossia la persona che chiede, come abbiamo detto, è di solito qualcuno che è formato e che ha acquisito delle competenze specifiche, è un professionista, è etico e così via.

Nel caso in cui a chiedere è una persona che fa il fundraiser in modo amatoriale, non possiamo essere sicuri della presenza delle medesime caratteristiche. Chi è la persona che sta chiedendo? Può andare bene, può andare male. Non si sa di preciso chi possa essere quello che in un mondo disintermediato sta facendo la richiesta di donazione.

7 . Persona Che Chiede

Il nuovo modello è molto più complesso

Quello nello schema è il vecchio modello su cui noi fundraiser eravamo abituati. L’organizzazione nonprofit fa da intermediario tra il donatore o la donatrice e la causa e quindi il progetto. Semplice, facile, intuibile. Zero pressioni esterne, zero complicazioni inutili. Tu doni, io realizzo, e poi ti rendiconto.

8. Il Vecchio Modello

Questo di seguito, invece, è il nuovo modello (semplificato, perché in realtà può essere anche molto più complesso) che si sta realizzando oggi.

Intanto occorre descrivere i due principali fattori che (li vedete nei riquadri rossi) che stanno spingendo verso questa disintermediazione.

Mia mamma quando donava alla Croce Rossa, o all’Opera di S. Teresa del Bambin Gesù, donava e basta. C’era quasi un tacito accordo. Io dono, tu realizza, mi fido. Quando ha lasciato una parte del suo piccolo testamento, nessuno di noi figli si è sorpreso. Fedele alle sue donazione, tutta la vita.

Oggi invece c’è un’enorme pressione sui risultati perché, sempre di più, le persone e i donatori vogliono vedere il risultato. Soprattutto le nuove generazioni (Boomers, ma ancora di più X e Y) vogliono sapere con precisione, come e in che modo si utilizzano le mie donazioni. E quando vedono che non possono ottenere sufficienti informazioni, decidono di “fare da soli”. E fanno le loro raccolte fondi personali, donando direttamente ai singoli casi che loro definiscono importanti.

Poi, c’è un tema di Corporate Social Responsability (adesso in realtà si usa molto di più l’acronimo ESG, cioè Environment, Social, Governance) che è rappresentato da tutte le aziende che vogliono entrare nel campo del sociale. Le aziende non si appoggiano più al nonprofit (o non solo). Per esempio, una casa farmaceutica, fino a ieri, avrebbe potuto decidere di svolgere la propria funzione “sociale” nel luogo in cui sorge, attraverso una donazione a un’organizzazione che si occupa di cura, o di ricerca sanitaria. Oggi potrebbe decidere di donare a una propria fondazione costituita ad hoc, oppure di svolgere all’interno della propria azienda anche l’attività sociale, un tempo svolta dalla nonprofit.

Questi sono due trend molto forti che emergono dagli individui e dalle aziende.

9. Il Nuovo Modello

Al centro dell’immagine, in viola, troviamo tre “strumenti” diversi che fino a ieri non esistevano:

1. Le piattaforme di fundraising digitali nate allo scopo di fare raccolta fondi, a volte a sostegno delle organizzazioni nonprofit, ma anche dedicate alla raccolta fondi “personali”.

2. Le piattaforme social non direttamente dedicate alla raccolta fondi, ma che possono essere utilizzate anche a questo scopo (facebook, instagram, ecc)

3.  Le vere e proprie piattaforme di crowdfunding. Anche queste piattaforme fanno più o meno le stesse cose, ma non sono nate direttamente per fare raccolta fondi per il nonprofit (magari nascono per raccogliere capitale azionario o per fare altre iniziative di sostegno all’industria alle startup innovative e così via), ma in molti casi sono dedite anche alla raccolta fondi.

E poi ci sono i beneficiari. Fino a ieri i possibili beneficiari erano solo le organizzazioni nonprofit formalmente costituite (Onlus, ETS, Aps, Fondazioni, Associazioni, ecc), erano e sono tante (circa 350.000 entità in Italia) ma comunque soggette ad una verifica pubblica.

Oggi il numero dei beneficiari può diventare potenzialmente infinito, perché ci sono cause informali, non direttamente legate a una nonprofit (a volte persino aziende profit, che fanno raccolta fondi e poi “promettono di donare quanto raccolto”), ma anche singoli individui che chiedono per sé o per altri. Un bel casino rispetto al modello classico dove c’era solo l’ONP.

Oggi c’è bisogno di reintermediazione!

In un mondo strapieno di informazioni, qualcuno che mi faccia da “filtro” per sapere le informazioni corrette è di enorme utilità! (Ecco perché ho deciso di chiamare “Filtro” la mia newsletter di LinkedIn!)

Il nonprofit fa un servizio, cerca di fare filtro, raccoglie cause giuste, le verifica, sceglie i beneficiari, rendiconta, garantisce, dà le informazioni più corrette e giuste. Non è un disvalore! È un valore aggiunto!

La competenza di migliaia di persone che sono sul campo, conoscono i pro e i contro di ogni progetto, situazione, ricerca, attività, scelgono, agiscono con competenza, chiedono soldi e rendicontano in modo adeguato, è un valore.

È un costo, è vero, ma come diceva mia mamma: “chi più spende, meno spende”. E intendeva dire che a volte, comprando una cosa più costosa, compro anche maggiore qualità. Comprando cose che costano poco, poi mi tocca buttare via tutto perché la qualità non c’è.

Il ruolo delle organizzazioni nonprofit deve diventare sempre di più quello dell’infomediario, cioè di quell’ attore che all’interno della società gestisce il flusso di informazioni con l’obiettivo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta.

In un mondo disintermediato, è la reintermediazione la nuova necessità e il fundraiser non è assolutamente da considerare un costo inutile!