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Come collaborare con gli influencer per far crescere il tuo fundraising – Valerio Melandri intervista Paolo Stella

Collaborare con gli influencer per migliorare la raccolta fondi? Si può! Ce ne parla Paolo Stella in un’intervista con Valerio Melandri al festival del fundraising 2020.

Paolo Stella è un influencer, direttore creativo, web strategy expert, scrittore ed attore, con una passione per la moda, e per il web. Decide così di dedicarsi a queste passioni a 360°, lavorando come social media influencer.
Nel 2020 è entrato nella classifica degli influencer più seguiti in Italia.

Inoltre, Paolo ha pubblicato due libri, “Meet me alla boa” e “Per caso”. Entrambi basati su elementi autobiografici.

Paolo, che cosa vuol dire per un influencer fare pubblicità?

Prima la pubblicità (almeno quella della moda) era mettere una borsa con modella bellissima in isola deserta. Nel mondo dei social media questo modo non funziona più. L’influencer mette il prodotto all’intero della propria quotidianità, della propria vita. Una vita in cui il consumatore si riconosce. Il prodotto è nascosto all’interno di un contesto reale.

E invece per il nonprofit? Raccontaci della campagna con Ant

In questa campagna c’erano tre elementi: un’organizzazione nonprofit (Ant), uno sponsor (Sammontana) e un influenzer (Io).

Ho scelto di dedicare la presentazione del mio secondo libro ad Ant, coinvolgendo i miei followers. E Sammontana ha scelto di sostenere l’evento. Perché ha funzionato? A uno sponsor devi portare visibilità. E per dare visibilità devi dare un contenuto. Un influencer può portare del contenuto, ma non è scontato.

In questo caso il contenuto si è concretizzato nella presentazione del mio libro, che parla di ospedalizzazione infantile, associato a un’organizzazione che da anni è impegnata nella battaglia al cancro.

Insomma, se c’è un contenuto e qualcuno disposto a raccontarli gli sponsor si trovano in un attimo. Il mondo è pieno di contenuti, però devono essere raccontati in modo vero.

I tuoi libri funzionano perché c’è della verità. C’è la tua storia, c’è tantissimo dentro.

La verità adesso è quello che manda avanti i social. Il mondo della comunicazione del fashion è completamente cambiato.

Ad esempio, Madonna è stata per anni una regia della comunicazione. Creava scandali, impatti e tutto il mondo ne parlava. Il suo messaggio era globale. Era gestita benissimo da una serie di media manager che facevano uscire la sua immagine attraverso un progetto strutturato.

Con i social invece è venuta fuori la verità della persona. Non può esserci un’agenzia che gestisce la persona. I contenuti dei social sono veramente immediati. Sui social funzionano le persone che hanno scavato dentro di loro e hanno tirato fuori una verità. Se ti affidi a un’agenzia, a un consulente, non viene fuori una verità, si vede che c’è qualcosa di costruito e sui social non funziona.

Cosa vuol dire trovare la propria verità?

Bisogna trova la propria verità. Non deve essere per forza una verità profondissima e illuminante, devi solo raccontare chi sei. Allora la gente ti riconosce. E ti segue.

Quando ho scritto il primo libro -Meet me alla boa, la storia di come avevo perso una persona amata- mi sono messo a nudo su uno strumento diverso del digital. E i miei follower mi hanno riconosciuto, hanno scoperto chi ero veramente, anche fuori da Instagram.

E hai una rapporto vero con i tuoi follower?

Sì, assolutamente. Rispondo a circa 2000 messaggi al giorno. Alcune risposte sono molto veloci. Ad esempio, a chi mi fa un complimento, metto un cuore. Ma alcuni si espongono e raccontano qualcosa di sé, si aprono, Allora mi prendo il tempo di rispondere come si deve.

Il rapporto con i follower per me è parte del lavoro. Se immaginiamo una giornata di lavoro di 8 ore, almeno metà di quel tempo è dedicato alla cura del rapporto con i miei follower. E leggere e rispondere a tutti i commenti mi serve anche per capire meglio come sono fatte le persone che mi seguono.

Non ti nascondo che non è tutto positivo, è un mondo fatto anche di grandissime invidie, frustrazioni, solitudini.

In varie occasioni hai usato la frase ‘l’eleganza è nella gentilezza d’animo’. Che cosa vuoi dire?

Faccio un lavoro in cui mi viene regalata una quantità di abiti incredibile. In questo marasma spesso perdo il concetto del valore economico dell’abito. Mi arrivano tante cose e non sempre so il prezzo.

Quindi per me l’eleganza non sta nel valore economico dei capi. Si può essere eleganti con capi da pochi euro o viceversa non esserlo per niente nonostante gli abiti costosi. L’eleganza sta all’animo di chi indossa un abito, non nell’abito in sé.

Si possono coinvolgere gli influencer nel mondo nonprofit? Qual è il modo giusto? Dacci qualche consiglio

Bisogna scegliere la nicchia giusta. Devi trovare gli influencer che parlano la tua lingua, che sono vicini ai tuoi valori. Mi piace molto una frase di Francesca Sozzani: Non si può piacere a tutti e non si deve, perché altrimenti non stai dicendo niente. È inutile cercare di andare a parlare con tutti. Per prima cosa bisogna iniziare a studiare l’influencer che si vuole contattare. Bisogna saper parlare il suo linguaggio, capire chi si ha davanti.

Una volta individuato, è bene sapere che il primo contatto con un influencer si apre attraverso i suoi agenti. E’ inutile però andare a scatola chiusa su tutti gli agenti. Bisogna trovare le persone che sposano la causa di un’organizzazione. A volte la sposano perché ci tengono. Non nego però che a volte hanno solo bisogno di contenuti e legarsi a una causa sociale gli dà accesso a contenuti facili. In questo modo può fare un upgrade agli occhi dei suoi followers.

Cosa funziona nei social secondo te?

Nei social devi regalare qualcosa che non si può fare. Un’esperienza. Nessuno ha più bisogno di niente. Non servono oggetti, servono storie, esperienze, possibilità di provare emozioni.