Simona Biancu
Professione Fundraiser

Simona Biancu, come scegliere le parole giuste per parlare con il board

Fondatrice e CEO di ENGAGEDin s.r.l., Simona è Consulente e formatrice su fundraising e filantropia strategica.

Collabora da anni con enti nonprofit, Università, istituzioni sanitarie e culturali in Italia e all’estero e tiene corsi e conferenze a livello internazionale su fundraising, filantropia – in particolare sulla filantropia al femminile, Board development.

Co-autrice del blog “Welcome on Board”, sui temi della governance delle organizzazioni nonprofit e del  libro “Board in prima fila”, Simona ha numerose esperienze come Board member di organizzazioni e istituzioni italiane e straniere.

Simona, in attesa del Nonprofit Day del 26,27 e 28 ottobre, ci ha anticipato qualcosa della sua esperienza come consulente strategica per i board.

Cosa troverai in questo articolo

Passione per il nonprofit, da dipendente a consulente

Partiamo dalla tua storia, ci racconti un momento che è stato decisivo per la tua carriera?

Quando ho deciso che avrei voluto occuparmi di fundraising come consulente.

Stavo finendo il Master e mi occupavo di Fundraising per l’Università, In quel periodo ho iniziato a seguire consulenze e altri progetti miei. Per un periodo ho pensato che avrei potuto fare entrambe le cose, ma un certo punto mi sono resa conto che il focus dei miei interessi professionali era cambiato.
Mi sembrava di aver dato tutto il possibile al mio lavoro ma sentivo che era arrivato il momento di fare altro.

Dovevo seguire le mie passioni, anche se comportava il licenziamento da un posto nel settore pubblico, con una certa carriera, una serie di agevolazioni ecc.

Così ho lasciato l’Università e ho deciso che avrei fatto del fundraising il mio lavoro…ma in un modo diverso da quello che era accaduto fino ad allora.

Da allora, più di 10 anni fa, non c’è stato un solo momento in cui mi sia pentita della scelta fatta. È stato un cambiamento radicale, ma è stata anche la scelta giusta.

Cosa ti ha spinto principalmente a voler passare nella consulenza?

Volevo mettere a frutto la mia esperienza di lavoro in Università, dove ho avuto diversi ruoli che avevano a che fare con le Risorse Umane, in particolare dal punto di vista dell’analisi e della gestione organizzativa, delle strategie di formazione del personale, delle relazioni sindacali.

Dopo 15 anni di lavoro come dipendente, volevo mettere queste competenze al servizio di organizzazioni del terzo settore: cause diverse, differenti prospettive e punti di vista da cui partire per migliorare le situazioni.

E io volevo essere lì. Dare una mano.

Quando e come hai capito che dedicarsi alla strategia verso il board era essenziale?

Da subito.

Quando lavoravo in Università il committment forte all’avvio di una strategia di fundraising era partito dal Rettore e, per ovvi motivi, aveva coinvolto la governance. I membri del Consiglio di Amministrazione e del Consiglio Direttivo dell’Associazione ex allievi  sono stati i primi interlocutori a cui ho dovuto raccontare cosa significasse fare fundraising e cosa significasse farlo nel contesto universitario.

Io sapevo cos’era il fundraising e perché fosse importante, ma dovevo trovare il linguaggio che mi rendesse credibile. Parlavo di un argomento che era nuovo per il board, ero la più giovane e una delle poche donne al tavolo di lavoro. Ho dovuto fare un grande lavoro su di me, un lavoro di ricerca di parole, di motivazione, di analisi della visione.
Da lì il tema del lavoro con i board mi è sempre rimasto nel cuore. Anche perché io mi occupo di consulenza strategica, e se non parti dal board, non puoi impostare un piano strategico.

Anche oggi i Consigli Direttivi, i Presidenti, in generale chi è in governance sono coloro che ci contattano come consulenti.

Board e fundraiser due punti di vista da conciliare

Ci racconti un episodio che ti è rimasto impresso? Positivo, negativo o ancor meglio una situazione critica che si è sbloccata attraverso un dialogo costruttivo?

Ti racconto un episodio che cito spesso per far capire i diversi punti di vista dei membri del board e dei fundraiser.

Il contesto è quello di una cena con i Grandi Donatori. Una delle prime campagne dedicate proprio a loro, frutto di un gran lavoro con il presidente, sui contenuti, gli obiettivi e le modalità.

Durante la cena il presidente avrebbe dovuto fare la call to action. Avevamo fatto un bel po’ di training, di simulazioni, di prove del discorso anche di fronte allo staff. Era chiaro che l’obiettivo dell’evento era la raccolta fondi era stato definito e comunicato agli invitati il tipo di donazione anche in termini di ammontare. Insomma, tutto era organizzato nel dettaglio.
La cena va avanti e il Presidente non fa la call to action, inizio a sollecitarlo e lui prende tempo. Alla fine, quasi al termine della serata, inizia il suo discorso, e al momento di lanciare la richiesta di donazione mi chiama e dice “come saperte questo è un evento che abbiamo organizzato per raccogliere fondi, vorrei dirvi di più, ma faccio parlare la nostra esperta, la dottoressa Biancu”.

Io sono intervenuta, ho fatto l’appello e tutto, alla fine, ha funzionato come doveva.

Poi, al termine della cena, ho chiesto al presidente cosa fosse accaduto, perchè non se la fosse sentita di fare l’appello che avevamo concordato e preparato. E mi ha colpito la sua risposta: “So che abbiamo fatto un sacco di simulazioni, che era la cosa giusta da fare, ma io all’ultimo momento non ce l’ho mi sembrava di importunare gli invitati con qualcosa di inopportuno”.

Per me questa è stata una grande lezione, mi ha fatto capire che bisogna saper essere flessibili.
Anche nella definizione di “chi fa cosa”: in quel caso il presidente, sulla carta, la persona più giusta per coinvolgere, sensibilizzare, incoraggiare a donare.
Però in quella occasione mi sono resa conto che la teoria va bene, va bene fare tutto da manuale, va bene anche avere in testa una certa idea. Ma a volte non basta, bisogna saper cambiare rotta e adattarsi alla situazione reale.

In questo caso, ho capito che il presidente era la persona giusta per gli incontri faccia a faccia, per le testimonianze, per il network, ma gli appelli non erano nelle sue corde.

Nel fundraising, come in quasi tutti i campi, c’è un livello teorico e poi c’è tutto il resto. Il mio compito è capire cos’è ‘tutto il resto’ e trovare la soluzione migliore per ogni singolo caso.

Quando inizio una consulenza la mia domanda è: “Come possiamo arrivare all’obiettivo percorrendo una strada che magari non è la più breve, ma quella più giusta per quella organizzazione?”.

Ti dedichi molto anche al tema della filantropia femminile, come è cambiato negli ultimi anni il ruolo delle donne nel CDA di enti nonprofit?

E’ un tema molto ampio e richiederebbe pagine e pagine di approfondimento.
C’è, però, una cosa che vorrei condividere e riguarda la percezione del proprio “sentirsi” filantropo/a.
Quello che ho notato in questi anni è che è una parola – e un senso di sé – che genera orgoglio e soddisfazione negli uomini, mentre le donne spesso mi dicono: “Non esageriamo, faccio solo del mio meglio”.

Non è un dato statistico, naturalmente, ma frutto di esperienza sul campo, ma l’ho sentito in più occasioni ed è qualcosa che mi colpisce. Dietro secondo me c’è un tema di percezione a livello identitario, ed è un argomento che mi piacerebbe approfondire in maniera strutturata.

Cambiare il linguaggio per cambiare l’approccio

Quale tema affronterai al Nonprofit Day: ci condividi qualche curiosità in anteprima?In che modo il tuo speech può essere utile ai partecipanti del nonprofit Day?

Senza anticipare troppo, ti dico che presenterò una serie di casi tratti dall’esperienza professionale e che utilizzerò per far emergere spunti e , suggerimenti operativi.

Il tema centrale è che utilizzare una narrazione diversa della governance serve davvero a dare forma ad una possibilità diversa.

Appiattirsi su concetti come: “Il board non lavora, è assente, non ascolta il fundrasier ecc.” racconta solo uno spaccato della realtà. Solo un punto di vista. Il mio obiettivo è spostare il focus su come possiamo noi fundraiser far cambiare questa situazione.

Bisogna passare dal “che cosa devo fare” a “che cosa posso fare” per coinvolgere il board. Il devo infatti è prescrittivo, ho già fatto tutto e non so cosa fare d’altro. Cosa “posso” fare al contrario significa aprire l’immaginazione.

Per spiegare questo concetto in modo che non sia astratto, partiremo da esempi concreti, da storie reali da cui tirare fuori diversi concetti trasversali a molte organizzazioni.

Un libro che ti ha lasciato tanto o ti ha insegnato qualcosa e che vorresti consigliare?

“100 anni di solitudine”, perché ti insegna che con la razionalità non arrivi ovunque.
Il messaggio che lascia il libro è che bisogna tirare fuori una parte emozionale, impalpabile per spiegare il mondo. Dobbiamo imparare a inserire altro oltre alla ragione, nella vita, per comprenderne le sfumature. 

Ci lasci una la citazione che rappresenta (bene) il tuo lavoro e ci spieghi il perché?

È un citazione del poeta Alexander Pope: “act well your part; there all the honour lies” 

Mi piace perché mette in evidenza l’importanza di cercare il nocciolo, l’essenza profonda che ci muove a fare qualsiasi cosa.

Anteprima Nonprofit Day

Il Board dovrebbe essere coinvolto nello sviluppo strategico della tua nonprofit.  
E’un concetto che ripetono un po’ tutti, eppure non sempre accade.
Hai mai provato a chiederti il perché?  E soprattutto, quando il Board non si interessa per nulla dello sviluppo della tua nonprofit, quando è restio ad investire nel fundraising, come puoi fare per cambiare la situazione?   Ecco, la narrazione di una visione comune può essere la soluzione giusta che fa per te!   Trovare parole, i valori, il senso di un percorso significa lavorare con il Board, significa trovare le leve giuste per coinvolgerlo, significa costruire l’universo di riferimento dell’organizzazione e il suo futuro. 
Che tu sia un/a fundraiser o un membro del board, questa è la sessione che fa per te!   30 minuti di esperienze reali, spunti, suggerimenti su come usare le parole per migliorare il funzionamento del Board e assicurare alla tua organizzazione uno sguardo lungo sul futuro.