Giancarla Pancione
Trend del Terzo Settore

Intervista a Giancarla Pancione, una donna simbolo del fundraising in Italia

Giancarla Pancione ci racconta il suo percorso, successi e fallimenti di una donna simbolo del fundraising in Italia.
Giancarla ci parla della sua carriera, dal suo inizio quasi per caso nel fundraising, fino al suo ruolo in Save the Children, che sotto la sua guida in 15 anni è passata da una raccolta di 6 milioni annui a oltre 110.
Ci racconta come con il suo team ha gestito la crisi Covid. E lascia tanti spunti per i giovani fundraiser che stanno iniziando o consolidando la loro carriera professionale.
 

Cosa troverai in questo articolo

Giancarla Pancione è la responsabile Marketing di Save the Children, vincitrice del premio IFA 2021 come miglior fundraiser dell’anno.

Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla per scoprire di più sulla sua carriera, sul suo percorso e sulla sua idea di fundraising.

Giancarla Pancione

La carriera

Ci racconti qualcosa del tuo percorso professionale? Da dove hai iniziato? E come sei arrivata al tuo ruolo in Save the Children?

Ho iniziato facendo un po’ di tutto, anche lontano dall’ambito del fundraising.

Avevo finito un Master in politica europea, e non avevo idea che sarei finita a occuparmi di raccolta fondi. Stavo facendo uno stage in Amnesty in Inghilterra e ero sullo tesso piano dell’ufficio raccolta fondi e marketing.
Mi è piaciuto il lavoro che facevano i colleghi e ho sentito di avere le caratteristiche giuste per farlo anche io. Praticamente è stato un colpo di fulmine.

Ho avuto la fortuna che si liberasse una posizione maternità e così ho iniziato. Ovviamente non avevo esperienza, ma il direttore mi disse una cosa che mi ricordo ancora adesso: “Non c’è bisogno di saper fare tutto, quello che conta è l’attitudine. Se c’è l’attitudine giusta, le competenze poi si imparano”.

Da lì infatti ho iniziato anche la mia formazione nel fundraising.

Ho iniziato con la gavetta, facendo assistenza mailing di Natale.
Poi ho avuto la fortuna di collaborare alla realizzazione dell’evento Annie Lennox, Pix Tour. È stata un’esperienza bellissima, ma da lì ho capito che non volevo proseguire sul fundraising da eventi. Preferivo la parte più scientifica della raccolta fondi, fatta di numeri, narrazione, marketing ecc.

Dopo qualche anno tra Amnesty UK, esperienze in Canada, Amnesty Italia e UNHCR sono entrata in Save the Children, gestione individui.

Era il 2006, avevo un team di 5 persone e la raccolta totale di Save era di circa 5/6 milioni l’anno. Oggi siamo passati a uno staff di oltre 60 persone e una raccolta nel 2020 di 111 milioni

Insomma, in questi 15 anni l’organizzazione è cresciuta diventando quella che è, e io sono diventata direttrice marketing e FR.

Ci tengo a dire una cosa sulla carriera professionale, per me non è il titolo che conta, ma la possibilità di poter sperimentare e innovare il proprio lavoro. Quello che conta per me in Save non è tanto la posizione che ricopro, ma l’essere in un posto di lavoro che negli anni mi ha permesso di investire, fare test, imparare nuove, sperimentare, a volte sbagliare, ma continuare a crescere. Questo per me è essenziale, perchè il fundraising è in continua evoluzione, non si può restare indietro.

La crisi Covid

Come hai/avete gestito la crisi Covid? Che cosa avete modificato, sperimentato e riprogrammato?

All’inizio un grosso spavento. La prima settimana avevo paura di dover chiudere dei programmi e fare dei tagli anche sulla nostra struttura, sul nostro personale.
Però, a parte lo shock iniziale, devo dire che la risposta dell’organizzazione è stata ottima.

La mia frustrazione era dovuta al fatto che il F2F, che per noi era il canale di acquisizione principale, era fermo.
Così ho avuto una reazione di pancia, non ho avuto paura di rischiare e ho proposto di rimodulare gli investimenti.
Abbiamo spostato una bella fetta di budget sul DRTV e sull’online: due canali che stavamo già usando, anche se meno rispetto al F2F, e che stavano dando buoni risultati. Perciò abbiamo messo in atto una combinazione di canali e è andata meglio di quanto sperassi.
A maggio eravamo allineati con gli obiettivi che ci eravamo prefissati di ottenere con il F2F. In questo il fatto di essere pronti con il DRTV è stato essenziale, perché ci ha permesso di raggiungere anche tutto il target che con l’online non avremmo raggiunto.

Allo stesso tempo però siamo stati lungimiranti e non abbiamo abbandonato il F2F. Abbiamo continuato a ‘coccolare’ la squadra e quando lockdown è finito i nostri dialogatori sono tornati in strada con la stessa motivazione di sempre. Sono state settimane di lavoro intensissimo con l’agenzia, abbiamo sfruttato questo tempo di pause della attività per fare formazione e training al team F2F, per rafforzare il legame con l’organizzazione. Io stessa mandavo dei video WhatsApp ai ragazzi!

Insomma, il lockdown ci ha dato la spinta per testare cose che altrimenti non avremmo testato, o meglio, non con quei volumi. E dato che la strategia ha dato buoni frutti, ora siamo ripartiti con una distribuzione più equa degli investimenti sui 3 canali, non siamo più così sbilanciati sul F2F.

Anche la raccolta fondi da corporate nel 2020 ha avuto un momento di arresto. Le aziende erano molto concentrate sulle donazioni per l’emergenza e l’ambito sanitario. Però noi abbiamo continuato il nostro programma di fidelizzazione, siamo rimasti in contatto con le aziende, abbiamo mandato report, aggiornamenti delle nostre attività. E questo alla fine ha pagato perché le donazioni sono ripartire.

Il team

Quanto contano le persone nel successo di una campagna? Come gestisci il tuo team?

Il supporto del team è essenziale.
Per me avere una squadra motivata, valorizzare il lato umano del lavoro e avere un occhio dio riguardo per le persone che lavorano con me è essenziale.
Sa un lato sono materna ed empatica, ad esempio, mi piace bere il caffè con il team, entrate nelle dinamiche quotidiane ecc

Allo stesso tempo però,  non sono una persona facile con cui lavorare. Pretendo molto da me stessa e di conseguenza anche dal mio team.

Alzo sempre asticella, sono competitiva. E porto anche il team a essere competitivo, a puntare sempre al massimo.
Sono anche molto trasparente, se devo dare feedback negativo lo do perché credo sia costruttivo.

Errori che fanno crescere

Per arrivare al successo, quanto conta poter sbagliare e imparare dagli errori? 

Imparare da errori conta tantissimo.
Nel nostro lavoro fallire fa parte del gioco. Per essere un buon fundraiser devi metterti in gioco, fare cose nuove, sperimentare. E se va sempre tutto bene vuol dire che non stiamo veramente sperimentando!
Non dico che si debbano fare scelte suicide, ci vuole la giusta dose di responsabilità. Buona trovare l’equilibrio tra responsabilità, rischio e coraggio. Sempre con la passione per quello che si sta sperimentando.

Ci racconti un fallimento che ti ha fatto crescere?

 Un primo fallimento è stato subito all’inizio. Il mio capo di allora mi aveva chiesto un feedback su un mailing. Io ho detto “è bellissimo” e lui mi ha subito risposto: ”Non deve essere bello, deve funzionare”: E infatti aveva ragione lui, la campagna è stata un bagno di sangue.

Invece il mio fallimento per eccellenza, che però si è rivelato un vero momento di crescita e trasformazione è stato il DRTV. In Save ad un certo punto ho provato a fare DRTV. Non conoscevo bene l’argomento, ma avevo visto che in Inghilterra funzionava, perciò volevo riproporlo anche in Italia. Solo che ho sbagliato tutto….il video, il mediaplan, la gestione dei costi ecc Sono state due settimane in cui pensavo addirittura che mi avrebbero licenziato.

E invece no. L’intuizione era stata giusta: la TV funzionava, l’errore era stato quello di portare avanti l’operatività senza conoscere bene l’argomento e senza l’aiuto dei professionisti del settore.

Così non mi sono data per vinta. Il mio capo mi ha dato fiducia, sono andata in UK, ho visto come facevano, ho imparato a usare lo strumento e alla fine il DRTV diventato canale di grande successo anche in Save Italia.

Giancarla Pancione Missione

Consigli per giovani fundraiser

Hai un consiglio per i giovani fundraiser che stanno iniziando il loro cammino professionale? 

Puntare sulla professionalità e rinnovarsi sempre.

Scegliete un posto di lavoro dove sperimentarvi, imparare.

Non sedetevi in un posto per un buono stipendio o un titolo.
Soprattutto all’inizio bisogna imparare, rubare i segreti del mestiere, mettersi in gioco, andare dove si può crescere.

E poi, pensate in grande! Le nuove generazioni devono pensare che davvero possono cambiare il mondo.
Lasciate andare il freno, fate decollare il terzo settore e dategli l’importanza che merita.
Sognate di più.

Ti saresti immaginata di arrivare dove sei oggi? Cosa ti ha spinto in questi anni di lavoro?

 Sinceramente non lo so. Ma alcune cose che mi diceva mio padre da bambina probabilmente mi hanno spinto a essere quella che sono. Mio padre mi diceva sempre: “fai il lavoro che ti piace, perché solo così sarai soddisfatta, ma cerca di essere la più brava”.  
Mi ha sempre spronato a migliorarmi, a puntare più in alto.
E’ un insegnamento che mi è sempre rimasto dentro, se faccio una cosa deve essere fatta bene.

Qual è stato un punto di svolta della tua carriera?

 Il vero momento di svolta è stato quando sono andata a lavorare a Save the Children Italia. Era una realtà ancora poco conosciuta in Italia. Però mi piaceva che fosse internazionale.

E mi aveva stuzzicato che avesse nel dna la cultura della raccolta fondi. Ho capito che era il mio posto, volevo un’organizzazione dove fare FR non fosse un lavoro di serie B. Così ho detto provo e vediamo che succede. E non mi sono pentita!