In questo articolo:
Fare il fundraiser è un lavoro stressante?
Possiamo identificarlo come lavoro stressante quello del fundraiser? Non c’è una risposta univoca, tutti i lavori possono essere potenzialmente stressanti.
Certamente fare il fundraiser richiede abilità, concentrazione, passione: tutti elementi che possono dare grande soddisfazione lavorativa, ma dietro l’angolo si può a volte nascondere un confine incerto tra il mondo del lavoro e la sfera personale.
Esiste in effetti in molti di noi un senso di colpa innato nel mettere i propri bisogni fisici e mentali davanti alle proprie responsabilità professionali: questo è vero specialmente nel fundraising in quanto fare il fundraiser non è un lavoro come gli altri.
Lavorare per una buona causa richiede coinvolgimento nella mission, dedizione e passione ed è dunque difficile a volte essere, allo stesso tempo, quelli che hanno bisogno di aiuto (perché stressati) e quelli che lavorano per risolvere le problematiche altrui (i beneficiari delle organizzazioni nonprofit).
Specialmente i fundraiser che lavorano da soli o in piccoli team, dove viene esaltata la cultura del multitasking, esitano a chiedere aiuto: solo recentemente si è diffusa la cultura del supporto psicologico, spesso in passato visto come uno stigma verso la persona che in quel momento ha necessità di avere un luogo dove poter allentare pensieri, tensioni, preoccupazioni.
Andiamo ora a identificare le cause che portano allo stress e infine al burn-out.
Stress e Burn-Out: identifichiamo la causa
La sindrome da burn-out dipende dalla risposta di ognuno di noi ad una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. In tale contesto, l’individuo non dispone di risorse comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento fisico ed emotivo.
Il prof. Robbie Waters Robichau, docente presso laTexas A&M University, ha condotto uno studio sugli impiegati del settore nonprofit e sul loro desiderio di svolgere un lavoro significativo, che ha un impatto, un risultato.
Dalla ricerca citata i soggetti più a rischio di burn-out risultano essere le donne (che ricordiamo sono, almeno negli Stati Uniti, il 70% della forza lavoro del nonprofit) e le persone di colore, specialmente coloro che lavorano in organizzazioni la cui mission ha a che fare direttamente con la propria identità (esempio: nonprofit che promuovono i diritti umani o la salute delle donne) e che dunque sviluppano maggiormente un attaccamento al proprio lavoro.
L’attaccamento al lavoro non è negativo in sé, il rischio semmai è identificare la propria realizzazione personale esclusivamente con il lavoro senza dunque porre limiti al lavoro stesso in ogni momento della propria vita personale.
Il burn out si verifica quando, anche se il fundraiser sente che il suo lavoro ha un impatto positivo sulla società e sui beneficiari dell’organizzazione nonprofit, non si ha più energia per continuare gli sforzi lavorativi e non si trova anche nessun’altro collega, all’interno dell’azienda, con cui condividere questo fardello.
Le forze fisiche e psicologiche non sono inesauribili: se non siamo capaci di ascoltare i segnali che il nostro corpo ci trasmette rischiamo seri problemi di salute: insonnia, poco appetito, tensione muscolare e problemi di stomaco, pupille dilatate, tachicardia, tremori, respiro affannato.
Se lo stress non viene individuato per tempo e se i periodi stressanti si ripetono continuativamente i rischi possono essere anche peggiori, tra i quali possiamo annotare: sindrome da affaticamente cronico, depressione, emicranie persistenti, infarto, alti livelli di colesterolo, disordini alimentari (diabete / obesità), disfunzioni sessuali.
E’ bene dunque individuare le cause del ripetuto stress prima che sia troppo tardi. Si rischia infatti di finire come la rana bollita…
Il fundraiser stressato e la rana bollita
Per molti fundraiser il burn-out è vissuto un po’ come il mito della rana bollita: si racconta che se metti una rana in una pentola di acqua bollente quella rana immediatamente salterà fuori dalla pentola per evitare il pericolo. Allo stesso modo se metti una rana in una pentola con acqua fredda e poi accendi il fuoco sotto la pentola, la rana non si accorge del pericolo fino a quando non sarà troppo tardi.
Questa è una storia anche legata allo stress…non ce ne accorgiamo finché non è troppo tardi.
Il lavoro del fundraiser è un lavoro che si fa con tanta passione, a volte fin troppa. Non si contano le ore in cui si lavora, a volte superando quella sottile linea che delimita il fare bene il proprio lavoro al passare giorni, notti e fine settimana senza mai un attimo di pausa: aggiungiamo a questo anche l’impatto che la pandemia ha avuto su molte situazioni lavorative, compreso anche il mondo del nonprofit e del fundraising.
La pandemia e l’aumento dello stress
Dal 2020 a causa del Covid è stato adottato da molte aziende il lavoro da remoto, svolto prevalentemente da casa: questa modalità ha portato vantaggi immediati sia per la salute sia per il minor tempo speso nei viaggi, dall’altra parte ha colto di sorpresa chi era abituato ad un lavoro in ufficio, insieme ai colleghi, con abitudini e prassi consolidate.
Accanto alla sensazione di incertezza generale ognuno di noi ha potuto provare una sensazione di mancanza di sicurezza, stati di ansia sociale, sovraccarico della gestione casa/lavoro nello stesso luogo, surplus di informazioni tra chat, telefonate, email e social network.
Il lavoro in multitasking, specialmente durante il Covid, ha preso il sopravvento e non ha favorito la concentrazione e ha amplificato lo stress: pensiamo solamente a chi durante il lavoro da casa doveva anche “gestire” figli, partner, cani, gatti.
Ognuno di noi si è reso conto della difficoltà di conciliare la vita personale e quella lavorativa dallo stesso luogo.
L’isolamento ha contribuito inoltre ad amplificare le situazioni stressanti: a volte anche il semplice condividere problemi di lavoro o personali con dei colleghi aiuta a iniziare bene la giornata e a restare produttivi e concentrati.
Aggiungiamo inoltre anche la paura di non riuscire a raggiungere gli obiettivi come fundraiser: durante l’epidemia Covid-19, come noto, sono state raccolte molte donazioni nell’ambito socio-sanitario per cui, chi non aveva una causa legata a tale ambito, ha dovuto spesso stravolgere le modalità di comunicazione e i progetti da tempo pianificati per venire incontro alle nuove esigenze nate dall’epidemia.
Chi governa e amministra le organizzazioni nonprofit si è inoltre trovato a dover gestire situazioni differenti (lavoro in ufficio / lavoro da remoto), a dover garantire un costante flusso di entrate (donazioni) a fronte di una preponderanza di attenzione rispetto all’ambito socio-sanitario: in tutto ciò la figura del leader nelle organizzazioni nonprofit ha assunto e ha oggi sempre più importanza.
La leadership forte aiuta il fundraiser stressato
Chi più di tutti può contribuire al benessere del fundraiser è la figura del leader, operativamente può essere un responsabile dell’ufficio, un direttore genrale, un presidente.
Il nonprofit ha bisogno di leader che:
- Sappiano organizzare il lavoro degli uffici definendo cosa è urgente e cosa non lo è, cosa è importante e cosa non lo è.
- Non minimizzino le problematiche correlate allo stress e intervengano con azioni correttive immediatamente (esempio: periodo di riposo o svago per il personale).
- Diffondendo una cultura manageriale attenta al benessere dei proprio dipendenti
Il leader sa definire e assegnare obiettivi, compiti e responsabilità tanto ai team di lavoro: non crea persone “insostituibili”, crea un clima di responsabilità collettiva verso gli obiettivi aziendali.
Al Festival del Fundraising daremo spazio alla formazione per i leader affinché possano avere tutti gli strumenti per far lavorare al meglio il proprio team.
Ti invitiamo a prenotare questa Masterclass (Masterclass con EY Foundation – I pilastri per una leadership trasformativa e responsabile. Un nuovo modello di leadership può far crescere la tua organizzazione nonprofit) e partecipare a questa sessione “Come creare e guidare i migliori team! Il leader è sempre il capo? Non in un team che funziona, dove si è liberi di proporre nuove idee, ammettere gli errori commessi e dare e ricevere feedback” (il relatore Mauro Cuomo, che ha lavorato con Steve Jobs). Maggiori informazioni sul sito www.festivaldelfundraising.it
Come far lavorare bene i fundraiser
Per creare un ambiente di lavoro dove i fundraiser si possano esprimere al meglio è necessario che i leader siano i primi a dare il buon esempio: i leader che ad esempio mandano email ai loro sottoposti durante i week end non danno il buon esempio. Non inviare email durante i fine settimana fornisce un esempio positivo: conferma che quel tempo è dato per ricaricare le energie, per tornare al lavoro più positivi, riposati e, molto probabilmente, anche con nuove idee.
Un’altra modalità incentivante è quella di sviluppare politiche di welfare aziendale tramite le quali il dipendente può ottenere servizi di supporto (baby-sitter, rimborso spese scolastiche, rimborso spese vacanze) che possano essere di aiuto nella vita quotidiana
L’organizzazione è tenuta anche a creare spazi negli uffici che permettano di fare una pausa, riflettere, e riposare.
Per quelle organizzazioni nonprofit che adottano politiche di lavoro da casa è necessario perseguire attentamente un bilanciamento tra lavoro in ufficio e lavoro da casa: da una ricerca condotta da Microsoft nel Settembre 2022 risulta che il 73% dei dipendenti chiede all’azienda un motivo più specifico che le mere aspettative di risultato per recarsi sul luogo di lavoro.
Altro bilanciamento da perseguire riguarda la produttività: sempre dalla citata ricerca solo il 12% dei leader, con l’avvento dello smart working, si sente sicuro che il proprio team di lavoro sia produttivo. Purtroppo si lega la qualità del lavoro al tempo trascorso in ufficio oppure anche a casa davanti al computer: il bilanciamento dovrebbe invece riguardare ad esempio le riunioni aziendali.
Diamo uno sguardo, sempre grazie ad una ricerca Microsoft che ci descrive quanto accaduto dal 2020 al 2022: dal grafico seguente si può notare la crescita esponenziale sia delle riunioni e dell’uso delle chat durante il periodo dell’epidemia. Questo ci conferma come si possano creare situazioni stressanti tanto nel lavorare in ufficio quanto da casa: sia le riunioni online, che le riunioni in presenza, come anche l’uso della chat non fanno altro che incentivare il multi-tasking e non aiutano a concentrarsi sul lavoro da svolgere e sugli obiettivi da raggiungere.
Comprenderai dunque che non è facile tenere insieme tutti gli aspetti fin qui elencati e che lo sforzo nel farlo deve essere comune: non ci può essere il leader che fa tutto, nè il fundraiser che si improvvisa anche ufficio stampa, grafico, impiegato amministrativo.
Bisogna partire a monte, ponendosi le domande giuste e cercando insieme le risposte.
Le 6 domande segrete per fare fundraising con meno stress
Nelle nostre organizzazioni nonprofit dobbiamo creare un ambiente dove tutto il personale, fundraiser compresi, si pongano la seguente domanda: “Come dipendenti dell’organizzazione nonprofit ci sentiamo tutti responsabili dei risultati dell’organizzazione? Cosa può servirci per comprendere di cosa abbiamo bisogno per rendere al massimo?”
Una risposta a quest’ultima domanda può nascere da una riflessione comune nell’organizzazione su questi quesiti:
- Scopo: qual è la mission dell’organizzazione? Cosa fa l’organizzazione, come lo fa, perchè lo fa?
- Valori: cosa è più importante per l’organizzazione? A cosa aspira l’organizzazione?
- Comportamenti: quali sono le azioni che compiamo e che devono essere guidate dai valori?
- Riconoscenza: chi, nell’organizzazione nonprofit, ha portato avanti i valori dell’organizzazione stessa e dunque va premiato? Questo aiuta a dare ai dipendenti un esempio da seguire
- Rituali: quali sono quei comportamenti positivi che vanno ripetuti nel tempo all’interno dell’organizzazione? Definirli aiuta a sentirsi tutti responsabili del lavorare bene e insieme
- Spunti: quali piccoli promemoria ci possiamo dare di comune accordo affinché comprendiamo quando un nostro collega è in difficoltà (stress / burn-out)?
Non è difficile fare questi passi, bisogna farli insieme perchè questo è l’unico modo per avere organizzazioni nonprofit dove le relazioni siano positive, le critiche costruttive e lo stress sia vissuto non come un momento difficile a livello personale, ma come un segnale di una disfunzione all’interno dell’organizzazione stessa dell’ente che può essere risolto anche insieme.
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