Professione Fundraiser

Conosciamo i fundraiser – Intervista a Beppe Cacopardo

Francesco – Da quanti anni lavori nel fundraising?
Beppe C. – A Marzo del 2009 saranno 20 anni di attività.

Francesco – Perchè sei entrato in questa professione?
Beppe C. – Dopo 13 anni come dirigente della CISL di Milano, ritenendo conclusa la mia esperienza sindacale, stavo cercando una nuova opportunità professionale. Ho avuto la fortuna di incontrare Beatrice Lentati tramite una comune amicizia. Con lei ho collaborato dal 1989 al 2001, per poi aprire il mio studio di consulenza. Dal 2004 insieme ad altri consulenti, ho contribuito a dare vita a ProfessionEtica, network di professionisti, esperti di comunicazione sociale e fundraising, ognuno con competenze ed esperienze specifiche, quindi, complementari e sinergiche. La ragione? Non credo nella figura del Fundraiser “tuttologo”, esperto e capace in tutto. Il buon fundraiser deve avere una visione e definire una strategia, poi deve avvalersi di tante altre capacità e competenze. Non solo, il network è per definizione una “non struttura”. E’ leggero, non è appesantito da costi fissi di struttura, è flessibile, è in grado di offrire consulenza e assistenza di comunicazione e fundraising a tutto tondo.

Francesco – Secondo te quale è stato il più grande cambiamento nella professione del fundraiser da quanto hai iniziato la tua carriera?
Beppe C. – Da quando ho iniziato, venti anni fa, il cambiamento è profondo e, attualmente, molto rapido. Oggi come ieri, il fundraiser deve essere un manager serio e preparato, professionale ed etico. Ma a differenza del passato, la nostra professione è oggi molto più complessa. Occorrono dunque maggiori e migliori competenze per dispiegare la strategia di fundraising nei suoi molteplici aspetti. Occorre costruire una comunicazione capace di creare consenso, relazione, partecipazione, condizioni necessarie per raccogliere adesioni e fondi.
E’ finito il tempo del fundraising basato esclusivamente o quasi sulle metodologie e le tecniche del direct marketing e del direct mail, peraltro sempre necessarie.
Consulente esterno o dirigente interno, oggi, come ieri, il fundraiser deve conoscere bene la Causa e la Mission dell’organizzazione per cui opera e deve sviluppare una buona capacità di analisi della situazione interna ed esterna per disegnare un’efficace strategia. Ma sempre più spesso è chiamato a misurarsi con il cambiamento, a prendere decisioni rapide e flessibili. Pensa cosa ha prodotto la “rivoluzione” internet, anche dal punto di vista dell’impatto sul modo di comunicare e di fare fundraising. Pensa come sta rivoluzionando la nostra quotidianità e il nostro modo di lavorare!
Il buon fundraiser deve avere conoscenze delle nuove tecnologie o quanto meno delle loro potenzialità, a cominciare dal database relazionale di marketing, indispensabile non solo in funzione dell’aggiornamento dei dati, della corretta gestione del rapporto con i donatori e del programma di fidelizzazione, ma anche a fini statistici e di rendicontazione.

Il fundraiser deve essere in grado di relazionarsi bene con la dirigenza e con lo staff, deve essere un buon formatore, deve avere competenze di marketing, deve avere fantasia e creatività, deve essere in grado di produrre una buona comunicazione, sempre professionale ed etica, e di declinarla su tutti gli strumenti, on e offline, e su tutti i media.
Le iniziative di fundraising oggi si “bruciano” in fretta, per questo il buon fundraiser deve saper pianificare e diversificare le attività, sempre compatibilmente con il budget disponibile.
E’ noto che da qualche anno, salvo rare eccezioni, si registra una flessione del direct mailing, soprattutto in fase di acquisizione di nuovi donatori, con un minore ritorno sull’investimento.
Più recente e meno prevedibile – lo apprendiamo da autorevole fonte Telecom Italia – è la flessione in termini di raccolta fondi che riguarda gli Sms solidali, forse perché più inflazionati. In ogni caso, da sempre il limite degli Sms solidali sta nella impossibilità di conoscere il donatore e dunque di stabilire quella relazione di reciprocità e scambio che è alla base di un efficace processo di fidelizzazione. Inoltre, occorre un forte programma di comunicazione per rendere la campagna Sms solidale davvero efficace. Insomma, come tutte le attività, non può essere considerata risolutiva e unica, ma deve rientrare in una più ampia strategia che ricorre a un mix di strumenti e di azioni per essere davvero efficace.

Francesco – Qual è la tua preoccupazione riguardo la professione di fundraiser?
Beppe C. – Mi preoccupa percepire una certa flessione, per non dire caduta, di valori e principi costitutivi del mondo nonprofit, che si presumevano inattaccabili e intangibili. Ciò dipende in parte dall’impetuoso e talvolta incontrollato sviluppo quantitativo più che qualitativo del settore, peraltro molto variegato; in parte da una ancora notevole dipendenza dal sistema di finanziamenti pubblici e convenzioni, che privilegiano il basso costo, più che l’efficienza, l’efficacia e la valutazione del rapporto costi/benefici per la collettività.
Non voglio generalizzare, ma registro anche carenze gestionali e organizzative e frequenti cadute di stile; un certo deterioramento nei rapporti interni alle associazioni, spesso tra dirigenza e staff, un peggioramento nelle dinamiche interpersonali, con una conseguente crescita di insoddisfazione che, in molti casi, si traduce in elevato turn over, non più fisiologico.
Mi preoccupa molto registrare una caduta nell’etica della comunicazione e la minore attenzione nella scelta di alcune partnership tra profit e nonprofit. Voglio essere chiaro: nuove energie e professionalità sono linfa vitale per qualsiasi settore, così come la partnership tra imprese profit e nonprofit, nel quadro di una vera responsabilità sociale di entrambi i partner.

Noto poi che spesso manca la trasmissione di memoria storica, di valori e principi fondanti e irrinunciabili. La sfida del presente e del futuro è di coniugare questi principi e valori a capacità professionali e manageriali che sono necessarie, ma non sufficienti perché questo settore sia davvero motore di reale e positivo cambiamento strutturale dei rapporti sociali ed economici. Se si affievolisce, o peggio, se viene a mancare il riferimento all’aspetto valoriale noi assisteremo ad una inesorabile involuzione del settore, più o meno rapida, e alla caduta della sua capacità di attrazione, soprattutto nei confronti dei giovani.
Per non parlare di casi eclatanti, purtroppo in aumento, di scarsa serietà e di vere e proprie “bufale” dietro le quali si celano talvolta dei mestieranti del marketing e della comunicazione, molto bravi a fare leva sull’aspetto emotivo della comunicazione, strumentalizzandolo, e spingendo molte persone a donare a favore di “cause” che di etico e di socialmente utile hanno assai poco. Per non essere frainteso, so bene che la comunicazione deve “emozionare”, per spingere all’azione. Ma ci deve essere un’etica anche in questo, il rispetto della verità, della dignità della persona, dovuto soprattutto ai beneficiari della nostra comunicazione. In ogni caso, sollecitare esclusivamente l’emotività del donatore, potenziale o effettivo, non può e non deve bastare. Bisogna informare correttamente e compiutamente sulla causa e sulla mission, sulla gestione e destinazione dei fondi raccolti, sulla reale capacità di dare soluzione stabile ai problemi laddove l’associazione opera.
Dovere di ogni buon fundraiser, professionale ed etico, è quello di contrastare con forza il diffondersi di fenomeni degenerativi se vogliamo preservare il valore del fundraising inteso come attività di autofinanziamento, ma anche di informazione, sensibilizzazione, educazione dei cittadini.
Il Fundraising non può più essere inteso solo in chiave di marketing, ma come parte integrante della strategia e dell’attività istituzionale, capace di offrire opportunità di partecipazione e quindi di democrazia diffusa. Fundraising come strategia di ampio respiro, non di breve, ma di media e lunga prospettiva.
E’ una visione del Fundraising che ritrovo in ASSIF – Associazione Italiana Fundraiser – per questa ragione mi riconosco e mi impegno in essa.

Francesco – Secondo te i donatori sono differenti oggi rispetto a quando hai iniziato la tua professione?
Beppe C. – In generale, il donatore oggi è più attento e chiede maggiore trasparenza, affidabilità, credibilità dell’organizzazione nonprofit cui offre la sua adesione. C’è dunque necessità di maggiore comunicazione funzionale alla trasparenza e alla rendicontazione.
Pubblicare i bilanci non è più sufficiente, anche se resta necessario. Occorre attrezzarsi per garantire la massima trasparenza attraverso il bilancio di missione. Il sito è uno strumento formidabile anche in chiave di trasparenza. L’associazione, se vuole, può assicurare al donatore, potenziale o effettivo, un’informazione completa e in tempo reale sugli sviluppi del progetto per cui ha donato o sta per donare. E’ uno strumento che avvicina ai beneficiari e permette di “toccare con mano” l’efficacia del proprio sostegno. Non mi sfugge che l’avvio e consolidamento di processi virtuosi di governance e gestione interna, così come il dotarsi di adeguati strumenti di comunicazione funzionali alla trasparenza costituisce un investimento oneroso. Tuttavia il ritorno e l’utile di tale investimento sono certi e si possono misurare in termini di crescita di consenso, adesione e fedeltà dei donatori. Una fedeltà sempre più difficile da preservare, anche per il proliferare della concorrenza, cioè, di molte buone Cause che meritano sostegno. Da qui, la necessità di prevedere strategie di fidelizzazione sempre più sofisticate ed efficaci.

Francesco – Qual è stato il commento più strano o sorprendente che ti ha fatto un donatore?
Beppe C. – Come consulente esterno non ho molte opportunità di contatto diretto con i donatori delle associazioni che affianco. Quindi non saprei come rispondere alla tua domanda.

Francesco – Qual è il tuo motto?
Beppe C. – Mi ritrovo molto in questo pensiero di Vittorio Foa: “Pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente”. Faceva da sfondo alla recente manifestazione del PD a Roma, ma è un pensiero che appartiene a tutti, perché esprime valori e universali. Un modo di essere positivo, non egoista ma altruista nel senso migliore. Tutti noi dovremmo essere capaci di pensare a noi stessi con la massima attenzione nei confronti degli altri, prima di tutto delle persone care. Se poi pensassimo maggiormente al futuro, avremmo maggiore rispetto anche nei confronti delle giovani generazioni alle quali rischiamo di consegnare un mondo più povero, materialmente e moralmente, depredato di beni e di valori. Non è questa, purtroppo, la cultura dominante, ma resta l’idea per cui ritengo che valga la pena battersi o, semplicemente, vivere.

Francesco – Qual è la tua qualità migliore e come ti ha aiutato nella carriera?
Beppe C. – La tenacia. Non è semplice raccogliere fondi ed è ancora più faticoso oggi, come ho già avuto modo di dire. Ci vuole dunque maggiore impegno, creatività, professionalità. La tenacia è il collante di tutte queste componenti.

Francesco – Che cosa desideri fare in futuro nella tua professione che non hai ancora fatto?
Beppe C. – Oggi il fundraising va svolto con una grande padronanza di tutti gli strumenti. Il buon consulente deve essere allo stesso tempo strategico e operativo, deve saper trasferire know-how soprattutto allo staff, realizzando iniziative e campagne fianco a fianco con chi è operativo.
Un esempio lampante sono gli strumenti di comunicazione online, in continua evoluzione, che necessitano di conoscenza sul loro utilizzo e sugli investimenti più idonei. Bisogna quindi essere “manovratori esperti”. Come ho detto in precedenza, va scomparendo la figura del “fundraiser tuttologo” per fare posto a quella del fundraiser che si informa e si forma, giorno dopo giorno, per accrescere le proprie competenze. Un fundraiser che non ha paura di ammettere i propri limiti e che sa delegare, creare sinergie e competenze con i propri interlocutori, siano essi partner, collaboratori o clienti. Questo conferma e sottolinea la necessità di lavorare in network. Torno su ProfessionEtica come ambito di valorizzazione di competenze diversificate, complementari e sinergiche tra loro, in grado di rispondere meglio alle esigenze delle associazioni e, in ultima analisi, dei loro beneficiari. Assicurare azioni concrete, mirate, misurabili, non omologate né standardizzate. E’ questo il futuro della consulenza di fundraising e non solo di fundraising.

Francesco – Qual è la tua figura storica preferita?
Beppe C. – Antonio Gramsci sicuramente. Ve ne sono altre: Falcone e Borsellino, come simboli di tutti coloro che hanno dato la vita nella lotta alle mafie. Eroi per coerenza, senso del dovere e spirito di dedizione. Altre figure storiche, come Martin Luther King e Gandhi. Più passa il tempo, più mi accorgo che ci hanno insegnato un percorso di vita.

Francesco – Descrivi il tuo giorno perfetto o preferito lavorativamente parlando
Beppe C. – Il mio giorno perfetto dal punto di vista professionale è quello in cui la sera smetto di lavorare, avendo rispettato la quotidiana “tabella di marcia”, soddisfatto per quello che ho fatto e per come l’ho fatto. Per quanto riguarda la sfera privataÂ…mi appello al Dlgs. n. 196/2003 sulla tutela e riservatezza dei dati personali. GRAZIE!

Ringrazio Beppe Cacopardo per l’intervista che ha rilasciato per Fundraising.it e ricordo che il sito e il blog personale di Beppe sono www.beppecacopardo.it
e http://beppecacopardo.wordpress.com/