Professione Fundraiser

Fundraiser per i diritti umani: un'intervista a Michele Messina

Riprendiamo il nostro dialogo con i fundraiser. Questo mese parliamo di un settore diverso: i diritti umani. Un tema di primaria importanza, da sempre e ancora di più oggi in un contesto mondiale in continua evoluzione, dove il tema dei diritti umani è quanto mai attuale.  

Ne parliamo con Michele Messina, fundraiser Dm e digital presso Amnesty InternationalpMichele, non servono molte parole per descrivere Amnesty International, riconosciuta a livello mondiale per il suo ruolo a difesa dei diritti umani e a promozione della solidarietà. Cosa significa oggi, ad oltre 50 anni dalla nascita dell’onp, lottare per una causa come la vostra?

Lavorare per una causa sociale di questa portata è sicuramente un onore e un piacere. E’ poco tempo che sono entrato in questa realtà, ma ho già avuto modo di saggiare l’impegno e la dedizione con la quale si persegue il lavoro qui.

Paradossalmente comunicare la causa sociale di Amnesty non è semplicissimo perché risulta un’opera “intangibile”, ma questo non deve spaventare, anzi deve stimolare i fundraiser con mission simili ad essere ancora più proattivi e creativi.
 

Impegno comune è quello di voler rendere sempre più autorevole l’associazione agli occhi dell’opinione pubblica cercando di trasmettere con sempre maggiore precisione tutte le azioni messe in campo visto anche il grande numero delle campagne sempre in corso. Questo è reso possibile sicuramente da una comunicazione integrata sui diversi mezzi, ma soprattutto da un’attenta programmazione che deve tenere conto di tutte quelle variabili che noi fundraiser conosciamo più che bene.

Se ti dico fundraising, cosa mi rispondi?

Rispondo che ogni giorno che passa siamo più vicini al riconoscimento del fundraising come strumento di politica sociale e di cambiamento. Come ben saprai sono sempre più le realtà nonprofit che si avvicinano ad un fundraising strategico cercando di coinvolgere sempre più cittadini a partecipare attivamente alle attività associative.

Fundraising quindi non come mero “scollettare” (come si dice qui a Roma – fare una colletta), ma come strumento di comunicazione e coinvolgimento per il nostro pubblico.
Credo molto nel fundraising dalle persone, forse perché lo vivo tutti i giorni, ma tutto sommato perchè noi italiani abbiamo il donare nel nostro DNA e nel nostro retaggio storico, è una ricchezza che noi fundraiser non possiamo trascurare, anzi che dovremmo sempre stimolare.
L’importante è come sempre, non fossilizzarsi su un tipo di comunicazione standardizzata ed impersonale perché tanto “ha sempre funzionato”, è una bugia e ormai non vale più.

La professione di fundraiser. Cresce il numero delle persone che – a vario titolo – se ne occupano. Un pregio e un difetto di questo lavoro.

Ho avuto la fortuna di avvicinarmi a questo mondo molto giovane e quasi per gioco, la cosa che mi ha affascinato subito è stata che nel 2008 ancora c’era spazio per crescere e per imparare. Al contrario di altre professioni, presenti da più tempo, il fundraising tracciava (e lo fa ancora) una strada percorribile da giovani professionisti attenti al sociale. Questo per me è ancora oggi un punto di forza ed uno stimolo immenso.

Il difetto forse è proprio rispetto a questa freschezza: il riconoscimento dei professionisti del settore è ancora sottostimato rispetto a figure equivalenti nel profit, ma ci stiamo lavorando ed abbiamo tutti tanta voglia di crescere in questo senso. L’ASSIF ad esempio ha nel riconoscimento e tutela della professione un pilastro su cui si fonda, mentre le diverse scuole presenti sul territorio si occupano di creare professionisti pronti ad entrare nel mercato del lavoro. Ho avuto il piacere di collaborare lungamente con una di queste ed a loro va un sentito grazie per il lodevole sforzo.

C’è un altro lato della medaglia però: troppo spesso mi capita dipercepire una presunzione di chi sale in cattedra o si lancia nel mondo della consulenza al fundraising senza avere una base solida formata con l’esperienza sul campo. Non si può insegnare il fundraising se ,ad esempio, non si è mai organizzato un mailing e non si sono imbustate centinaia di lettere per rientrare nel budget pianificato!

Il rapporto fra nonprofit e profit è spesso caratterizzato da una costante difficoltà. Come chiediamo sempre, sono mondi così lontani?

Penso di andare un po’ controcorrente rispondendo di getto: no.

Mi capita spesso di confrontarmi con mio padre sul mio e suo lavoro. Io fundraiser in erba, lui direttore vendite di una grande azienda. Sempre più spesso mi dice che abbiamo delle preoccupazioni condivise: redemption, campagne, innovazione ecc…
Mi fa piacere constatare questo perché lo vedo come un tassello per farci uscire dall’essere sempre considerati volontari o precari che non hanno voglia di fare un “lavoro serio”, invece che essere riconosciuti come veri professionisti quali siamo.
Se scegliamo invece la lente delle politiche aziendali, dei salari  e delle relazioni tra il personale tipiche del profit mi sento di concordare con lei che esista un abisso, per quanto ne so, tra questi due mondi.
E proprio per questo sono ogni giorno più felice della mia scelta.

In 10 parole, un tuo sogno per la società di domani.

Una società equa, propensa alla partecipazione, attiva, attenta ai problemi dell’altro, tollerante, responsabile e soprattutto sostenibile per le generazioni di domani.

Un bel sogno nel cassetto no?

Alberto Cuttica – www.engagedin.net