Fino ad oggi il fundraising è stato inteso per lo più come correttivo dell’economia pubblica e del mercato laddove questi sistemi non erano in grado di coprire tutte le esigenze di benessere di una comunità garantendo equità. Una sorta di tappabuchi solidaristico e generoso.
Oggi il quadro è radicalmente cambiato: ad essere in gioco è la sostenibilità di tutto il sistema di welfare e il fundraising è chiamato a dire la propria su come possa essere sostenibile a partire da nuovi presupposti. Ossia se sia possibile pensare ad un sistema non solo basato sul prelievo fiscale ma anche, se non soprattutto, su scambi volontari e investimenti sociali. Molti fenomeni e fatti si muovono in tal senso: dalla mobilitazione dei genitori nelle scuole per garantire qualità, a casi analoghi nelle biblioteche, a grandi imprenditori che intendono investire parte del profitto in serivizi sociali, a organizzazioni non profit che intendono dare in modo nuovo tradizionali servizi sanitari, a forme di impresa non profit e low profit nel campo delle energie alternative e dei rifiuti, ecc.
E’ possibile passare da alcune esperienze episodiche ad un vero e proprio nuovo sistema di sostenibilità del welfare?
La questione porta con sé, necessariamente, anche un diverso ruolo degli attori in campo: le aziende, le fondazioni, gli individui e le loro organizzazioni sociali e chiaramente il non profit in tutte le sue forme.
Soggetti sociali che da semplici portatori di risorse intendono essere sempre più attori protagonisti di una nuova politica partecipativa del welfare.
È possibile creare un nuovo patto di azione comune tra questi attori sociali? Ed è possibile che il fundraising da semplice scambio filantropico tra non profit e soggetti privati diventi un comune investimento strategico?