Professione Fundraiser

Intervista alla consulente di fundraising Natascia Astolfi

Questo mese abbiamo deciso di dedicare la rubrica “Intervista a un fundraiser” a Natascia Astolfi, consulente di fundraising presso la società MBS di Bologna (www.mbs.it).

Simona: Da quanti anni lavori nel fundraising?

Natascia: Il fundraising è stato il mio primo ambito di lavoro. Ho iniziato in effetti a lavorare qualche mese dopo essermi laureata, nel marzo 1999, presso una società di consulenza a Bologna che si occupava di fundraising. Iniziai come tutti, con uno stage di tre mesi; mi piacque talmente tanto che poi non ho più abbandonato la professione.

S: Di cosa ti occupi esattamente?

N: Oggi mi occupo prevalentemente di start up di aree fundraising all’interno di organizzazioni di piccole e medie dimensioni, oltre che di pianificazione strategica integrata. Diciamo così: quando l’organizzazione si trova in una fase iniziale del fundraising, vale a dire quando il fundraising è ancora poco strutturato, io aiuto a creare un ordine e a porre le basi per un fundraising efficace. Questo significa prevalentemente aiutare le organizzazioni a formare una risorsa dedicata, a comunicare con tutti gli interlocutori interni ed esterni, ad analizzare il proprio capitale relazionale (tante volte impostando un database che spesso non esiste), ecc. La pianificazione strategica invece è un passo che avviene soprattutto nelle organizzazioni già strutturate. Si tratta principalmente di creare un processo guidato da obiettivi strategici precisi, che preveda interlocutori, strumenti, tempistiche, budget, misurazione dei risultati e fidelizzazione dei donatori. Un processo che, a partire dalla buona causa individuata, porti l’organizzazione a dialogare efficacemente con tutti i “mercati” del fundraising in una logica di diversificazione delle risorse.

S: Come si diventa consulente di fundraising?

N: Domanda difficileÂ…. Non so se esiste una formula magica. Sicuramente con una buona formazione e con tanta esperienza sul campo. Credo decisamente però che nella nostra professione ciò che fa di un consulente davvero un bravo consulente sia la capacità di non sostituirsi all’organizzazione, ma di trasferire e trasmettere un metodo e delle competenze specifiche alla persona che all’interno dell’organizzazione ha in capo la funzione fundraising, oltre che al vertice stesso. Il fundraising, infatti, è per me principalmente una strategia finalizzata a creare legami, relazioni, a generare fiducia; questa abilità deve assolutamente essere patrimonializzata dall’organizzazione e non delegata ad un consulente.

S: Due aggettivi che descrivono il rapporto fra consulente e organizzazione nonprofit.

N: Fiducia e Competenza: un consulente di fundraising normalmente porta l’organizzazione a percorrere strade fino a quel momento sconosciute o poco esplorate. Affinché il suo tentativo abbia successo le condizioni imprescindibili sono, da un lato che l’organizzazione si fidi e quindi si affidi, dall’altro però che le strade del fundraising ipotizzate siano veramente percorribili e non frutto di vaghe conoscenze o “benchmarking” improvvisati (cosa che spesso vedo accadere). Per questo è importantissimo che ci sia grande competenza e fiducia reciproca.

S: Spiegaci di cosa si occupa la tua società di consulenza.

N: Mbs è una società di consulenza nata nel 2000 per iniziativa di alcuni professionisti, con esperienze diverse e complementari, mossi dall’idea di offrire servizi di consulenza strategica, formazione e ricerca per supportare lo sviluppo delle organizzazioni. Oggi siamo 15 professionisti con competenze specifiche in grado di offrire consulenza e formazione ad organizzazioni non profit, ad imprese profit oltre che alle amministrazioni pubbliche.

S: Parlaci di un progetto che stai seguendo in questo periodo.

N: Uno dei progetti che più mi coinvolgono in questo momento è relativo all’associazione Lifeline Italia Onlus; un’associazione di Padova che dal 2003 si occupa di assistere e garantire in Italia le cure per i bambini malati di leucemia e tumore che vivono nei paesi più poveri dell’Europa dell’Est e dell’Asia Centrale dove non esistono strutture sanitarie in grado di trattare le malattie che li colpiscono. Dal 2003 Lifeline ha accolto e curato 142 bambine e bambini dall’Ucraina, dal Kyrgyzstan e dalla Georgia, ed ha effettuato 110 trapianti di cellule staminali. Ecco, assieme a loro, io ed i miei colleghi in Mbs abbiamo pianificato la strategia di fundraising integrata ed ora li stiamo aiutando (attraverso un’attività di regia ed affiancamento) ad implementare le singole attività individuate per il mercato delle imprese, delle fondazioni grant making e dei privati.

S: Quali sono i principali ostacoli che affronti quotidianamente nell’attività di fundraising?

N: Prima fra tutti forse una difficoltà di tipo culturale; mi riferisco al fatto che ancora oggi quando le organizzazioni si rivolgono a noi per un’esigenza ordinaria o straordinaria di risorse, esigono una risposta esclusivamente di tipo economico. La domanda tipicamente è: “dove troviamo tutte queste risorse? A chi chiediamo i fondi per il nostro progetto?”. Come se il consulente avesse una valigetta piena di contatti da cui “spillare risorse”. Invece il consulente lavora assieme all’organizzazione (mi riferisco soprattutto a quelle di piccole-medie dimensioni) per porre le basi – progettuali, relazionali, organizzative – affinché la buona causa sia condivisibile da un numero sempre maggiore di persone. Le risorse economiche arrivano sempre, ma all’interno di un percorso che spesso è più lungo di quello che l’organizzazione ha in mente.

S: Se avessi una bacchetta magica cosa cambieresti nel tuo lavoro? E nel nonprofit?

N: Oggi essere un consulente di fundraising è un’avventura difficile. E’ un mercato con tanta domanda ma difficile da conquistare, da mantenere, e sicuramente con poche regole. Anche la figura del fundraiser oggi non ha confini: è la persona che si occupa di raccolta fondi, di comunicazione, di gestione volontari, di progettazione, di organizzazione eventi, di relazioni one to one con imprenditori e grandi donatori e tante altre cose ancora. Se potessi cambiare qualcosa, renderei più chiara questa professionalitàÂ…probabilmente questa sarà anche una delle prossime sfide di Assif, l’Associazione Italiana dei Fundraiser, di cui sono entrata a far parte da pochi mesi. Cosa cambierei nel non profit? Forse una concezione tutta Italiana di concepirsi soli e in competizione gli uni contro gli altri; lottare per emergere. Questo lo vedo accadere nelle organizzazioni e spesso anche fra consulenti. Una sana collaborazione potrebbe a volte portare buoni frutti per tuttiÂ…anche su questo Assif credo possa avere terreno fertile su cui lavorare.

S: Cosa avresti voluto sapere agli inizi della carriera che oggi ti sarebbe servito?

N: Una consapevolezza maggiore sul fatto che il fundraising da cui noi abbiamo preso spunto in tutti questi anni – quello di stampo anglosassone per intenderci – non è assolutamente adeguato alla realtà italiana (ribadisco il fatto che io parlo quasi sempre di realtà di organizzazioni medio piccole). Sapendolo 12 anni fa, avrei cercato da subito di studiare ed approfondire strade diverse, più consone e adeguate al nostro contesto. Ho imparato tante cose compiendo erroriÂ….ma questo credo sia tipico di ogni professione.

S: Qual è la tua qualità migliore e come ti ha aiutato nella carriera?

N: Probabilmente la semplicità. Guardo sempre la realtà, le circostanze ed i fatti che accadono nel mio lavoro e nella vita delle organizzazioni che seguo o che incontro, vedendo semplicemente quel che accade; normalmente non ci aggiungo retro pensieri o complicazioni spesso inesistenti. Sembra una banalità, ma questo atteggiamento semplice che credo essere una mia caratteristica personale, mi aiuta a non esasperare le situazioni, a non “fasciarmi la testa” di fronte agli ostacoli; mi rende cioè possibile un giudizio critico.

S: Chi o che cosa ti ha influenzato di più nella vita?

N: Un carissimo amico – Luigi – che mi ha insegnato che la vita è bella e che per scoprirlo in ogni istante (mentre lavoro, quando sto con la mia famiglia, nel tempo libero, con gli amici) devo “investire” tutta me stessa, non risparmiarmi.

S: Descrivici il tuo giorno “perfetto”.

N: Sono (in ordine) moglie, mamma, amica, donna con tante passioni, consulente di fundraising. Il mio giorno perfetto è quello in cui ogni istante è speso bene, vale a dire tutto teso a scoprirne la bellezza.