Giovanna Bonora
Chi dona e perché dona

Giovanna Bonora, High Value Donor, capire chi hai di fronte per valorizzarlo

Giovanna ha quasi 20 anni (ben portati!) di esperienza come fundraiser. Oggi è Head of High Value Giving a Vidas, ma ha lavorato in ogni settore del nonprofit: dal socio-sanitario alla cultura, dalla cooperazione internazionale all’educazione.

Si è occupata anche di comunicazione, ricerche di mercato e CSR all’interno di una multinazionale.

Ha una grandissima esperienza di corporate fundraising, partnership internazionali e grandi donatori.

Altre due chicche, nel 2019 ha vinto l’Italian Fundraising Award 2019, come miglior fundraiser. Ed è stata tra i 12 partecipanti della PRIMA edizione del Master in fundraising!

Cosa troverai in questo articolo

Una carriera poliedrica

Quali sono stati i momenti più importanti del tuo percorso come fundraiser?

Sicuramente l’inizio come attivista.

Studiavo giurisprudenza, volevo fare il magistrato e prima di preparare la tesi mi sono imbattuta in Amnesty International. Da lì ho iniziato a fare l’attivista impegnandomi in campagne, progetti educativi, lobbying e banchetti di raccolta firme.
Qui ho imparato la lezione numero 1 del fundraiser: quello che interessa a te, non è detto che interessi agli altri.

Poi, mentre studiavo per diventare magistrato mi sono imbattuta in un corso in marketing e comunicazione del nonprofit e mi sono detta: “vuoi vedere che quello che faccio gratis e con passione può diventare un lavoro?”

Così è iniziata la mia carriera nel nonprofit. ANT, Aragorn, il fundraising per l’arte contemporanea e la cultura, Intervita, Bocconi.
Nel mezzo c’è stata anche un’esperienza con un corporate partner che mi ha proposto di entrare in azienda.
Per me è stata una svolta perché ho cambiato prospettiva.
Ho capito che le aziende non erano i cattivi e noi i buoni. Mettere le mani dentro una logica aziendale mi ha formato e allo stesso tempo mi ha tolto un sacco di snobismi.

Ora lavori in VIDAS? Cosa ti ha spinto a cambiare ancora lavoro?

In VIDAS mi occupo di aziende, grandi donatori, fondazioni e lasciti.
Ho scelto di sviluppare delle competenze più orizzontali e di dedicarmi maggiormente ai grandi donatori e soprattutto al mondo dei lasciti, che per me è un ambito relativamente nuovo.

Grandi donatori e aziende:  valorizzare chi hai di fronte

Grandi donatori e aziende, quali sono i punti di contatto?

Sicuramente l’iper-personalizzazione del rapporto.
Per farti un esempio pratico del mio approccio, quando ho cambiato recentemente lavoro ogni mail di saluto a un’azienda partner o a un donatore è stata diversa dall’altra. E per le aziende, non è mancato un messaggio personale per ciascun referente.

Personalizzare per me vuol dire avere rispetto della differenza di chi ho davanti.

Se questo è dato per scontato con i grandi donatori, non sempre lo è con le aziende.
E ancora meno con le fondazioni. A volte si ha il pregiudizio che cercare di aprire un rapporto diretto con una fondazione significhi cercare un canale privilegiato. Non è così. Approfondire, chiedere un chiarimento significa avere rispetto del proprio tempo e anche del tempo di chi si ha davanti.

E  invece la differenza principale?

La differenza principale invece è che nella maggior parte dei casi con i grandi donatori la conversazione può essere meno tecnica, meno strategica rispetto alle aziende. Ci si sposta su un piano più personale.

Per i lasciti ancora di più. Chi fa un lascito ci apre la porta della sua famiglia, della sua casa, direi quasi della sua anima. Quando parliamo di lasciti abbiamo a che fare con la vita e la morte, i colloqui con i nostri donatori sono degli incontri dove ci si espone anche umanamente.

Quella con i grandi donatori è una relazione one to one. Fino a che punto si può imparare a relazionarsi e quanto si tratta di doti innate, che fanno parte della personalità del fundraiser?

Io non credo di avere sempre l’approccio giusto o chissà quali doti empatiche magiche.
Per me c’è solo una cosa fondamentale per fare bene il nostro lavoro: ti devono piacere le persone. Come disse Paolo Cevoli al Festival del Fundraising qualche anno fa, “alla gente ci devi voler bene”.

Se vuoi fare il fundraiser ti deve piacere avere a che fare con le persone. Devi avere passione per la causa – e questo lo darei per scontato- ma anche nel raccontarla, nel parlare del tuo lavoro, di quello che fanno i tuoi colleghi, dei risultati.
E passione per il donatore che sta davanti a te, o almeno la curiosità di conoscerlo meglio.

E lo stesso vale anche nel direct marketing. Preparando un mailing, stai pensando a chi lo leggerà? Stai scrivendo qualcosa che potrebbe offendere, iper-sollecitare, far arrabbiare i destinatari, o stai scrivendo qualcosa di bello, di rilevante per loro?

Ovviamente l’esperienza aiuta. Io ho 20 anni di dialogo con le persone sulle spalle e questo mi aiuta a capire in fretta chi mi trovo davanti. Ad esempio, puoi capire il clima aziendale prima di un incontro di corporate fundraising già dall’atmosfera che si respira nella reception.

Qual è per te la cosa più difficile quando incontri un grande donatore?

Per me la cosa più difficile è dosare quando devi parlare e quando invece devi ascoltare. L’High Value Fundraising è fatto di relazioni peer to peer, a volte le situazioni sono delicate da gestire sia verso il donatore sia verso altri colleghi. Bisogna trovare il giusto equilibrio rispetto al proprio ruolo in quello specifico momento.

E poi è fondamentale capire che a volte possono esserci dei no, e quando è il momento di arrendersi. Magari non per sempre!

Comunicare dentro e fuori l’organizzazione

La comunicazione è essenziale verso l’esterno, i donatori, ma anche all’interno dell’organizzazione? Come gestisci il tuo team?

Per me è molto importante lavorare in team, non riesco a immaginare un altro modo di lavorare.

Sono state soprattutto due le esperienze professionali che mi hanno trasmesso questa consapevolezza.

La prima in ANT, a Ferrara, dove seguivo vari aspetti di raccolta fondi e comunicazione, ma soprattutto ho coordinato un gruppo di 40 volontari. Ho imparato con loro come si gestisce un team: svegliandomi alle 5 del mattino e facendo i banchetti insieme a loro. Per me il capo è uno che lavora con il team, non uno che si siede a aspettare che gli altri facciano il lavoro.

La seconda in Intervita, dove c’era una sintonia altissima, una vera comunione con le colleghe e i colleghi. Questa esperienza mi ha fatto capire che fare un buon lavoro di coalizione in team è l’unica maniera per superare le difficoltà che sul lavoro non mancano mai.

Così ho riportato queste esperienze nella gestione e comunicazione con il mio team attuale.

Ad esempio, una cosa per me molto importante è quella di non avere un ruolo esclusivo di primo piano agli occhi dei donatori. Chi gestisce un donatore, lo gestisce dalla A alla Z. Non c’è chi fa solo il back office e chi invece si presenta esclusivamente agli incontri.

Secondo me questo metodo funziona perché si basa sulla fiducia e fa sì che tutti abbiano delle responsabilità. Nella stessa ottica condividiamo le scelte strategiche. Il piano di raccolta fondi si scrive insieme, così come quello operativo. Non ci sono le persone che pensano e quelle che ‘svangano’. Tutti si pensa e tutti si lavora.

Un’altra cosa che cerco di fare con le risorse è capire quali sono le loro doti nascoste, le loro attitudini personali. Ad esempio, dopo avere sentito per caso una collega dedicata al back office parlare al telefono con un donatore, le ho chiesto di occuparsi di donor care, un’attività dove ha portato ottimi risultati.

Capire la personalità

Quale tema affronterai al Nonprofit Day: ci condividi qualche curiosità in anteprima?

Vorrei dare degli spunti per ragionare partendo dal punto di vista degli altri.
Al di là della sensibilità del momento contigente (ad esempio, ora sto parlando con Beatrice, sono le 12.36 e probabilmente ha fretta perché deve preparare il pranzo per il suo bambino), devo rendermi conto prima ancora che Beatrice è un unicum.
Sapendo però che tanti studi psicologici aiutano a caratterizzare le persone in diverse tipologie e possono quindi aiutarmi a capire le modalità di comunicazione ideali per Beatrice.

Non sono le personas del marketing, ma caratteristiche generali da cui deriva una certa attitudine verso la relazione.

In che modo il tuo speech può essere utile ai partecipanti del Nonprofit Day?

Se il fundraiser capisce come la persona che ha di fronte si pone con l’altro, potrà usare le leve giuste per relazionarsi, quelle più gradite per quella persona. Non si tratta di manipolare, ma di riuscire a essere più efficaci e anche più piacevoli.

Lo studio di questi profili psicologici aiuta anche noi stessi a capire la nostra personalità.
Se capisci qual è il modo per relazionarti che ti mette a tuo agio, sicuramente potrai comunicare meglio con chi hai di fronte e trovare le cose giuste da fare e da dire.

Al Nonprofit Day faremo qualche prova online, faremo qualche test, proveremo a giocare a ‘donatore e fundraiser’ per vedere quale è il tipo di comunicazione più efficace per noi.

Un libro che ti ha lasciato tanto o ti ha insegnato qualcosa e che vorresti consigliare?

Si tratta di un libro la cui lettura mi ha richiesto tanto tempo, anni: Moby Dick.
È un libro mistico, spirituale, da gustare parola per parola. Dove si ritrovano concetti esistenziali, e dove ogni tanto ho ritrovato un po’ me stessa, anche come fundraiser: come mi ha detto il mio compagno qualche tempo fa, in effetti a volte sono un po’ Achab!

Anteprima Nonprofit Day

Quale è l’approccio ideale con un (grande) donatore? 

La brutta notizia è che non esiste un approccio ideale valido per tutti i grandi donatori – e nemmeno per tutti i fundraiser!   

Se questa cosa ti delude, però non temere!    

La bella notizia è che l’analisi del tipo di personalità (che tipo di grande donatore ho di fronte?) ti aiuta a comunicare in modo più efficace con i tuoi grandi donatori – anzi, proprio con QUEL TIPO DI (GRANDE) DONATORE O DONATRICE con cui ti stai rapportando proprio ora.   

Ma non solo: questa analisi aiuta anche te, a capire quali sono le tue potenzialità e ad ottenere risultati migliori, restando fedele alla tua natura – nel dialogo con i donatori, ma anche nella vita di tutti i giorni! Perché in fondo è semplice: conoscere meglio la personalità delle persone con cui ti rapporti, ti aiuta a lavorare con loro in modo più efficace.   

Pronta/o a costruire insieme a Giovanna l’approccio perfetto per ogni tipo di grande donatore? 

SPOILER ALERT: sessione ad altissima interazione, con wall virtuale e sondaggi in diretta!