Fundraising e innovazione
Professione Fundraiser

Innovare nel fundraising è possibile?: il caso di SOS Children´s Villages International

Cosa vuol dire “innovazione”? Cosa possiamo innovare nel fundraising? E come, soprattutto?

Per togliermi qualche dubbio, ho intervistato Anne Norup Lauridsen, danese di nascita, austriaca di professione. Condivido con lei l’ufficio Viennese dell’Head Quarter di SOS Children´s Villages International, ONG internazionale che lavora in tutto il mondo per garantire a ogni bambino il diritto di crescere sereno e in salute, in un ambiente familiare accogliente.

Anne

Anne

Il nome del ruolo di Anne è tanto complicato quanto complesso e sfidante è il suo lavoro. Come “Team Leader International Product Development & Innovation”, Anne si occupa di “portare Innovazione”, non solo all´interno della Federazione di SOS, ma in tutto il mondo, con iniziative globali.

Ale: Ciao Anne, grazie mille per essere qui! Puoi raccontarci di cosa ti occupi?

Anne: Ciao, Alessandro, grazie a voi per l’invito!

Vivo e lavoro a Vienna, nell’Ufficio Internazionale di SOS Childre’s Villages International, come Team Leader per lo sviluppo e l’innovazione dei prodotti, nell’ambito del fundraising.

La nostra è una Federazione composta da circa 136 Associazioni nazionali e diversi uffici Regionali, che coordinano il lavoro di specifiche aree geografiche del mondo. Insieme agli uffici regionali, lavoriamo per i Paesi Membri della Federazione, supportandoli e guidandoli sui temi dell’Innovazione, in particolare con iniziative globali, ma anche nazionali.

Per capirci, si tratta di un mix di networking, capacity building, supporto tecnico e strategico.

Ale: come mai hai scelto di lavorare nel terzo settore e perche´ SOS?

Bella domanda! È una scelta che risale a molto tempo fa. Nel mio, come in molti altri casi credo, l’ispirazione nasce dalla volontà di contribuire a qualcosa che abbia un impatto sociale positivo. Il tema della tutela dei minori mi è sempre stato caro. Ho studiato scienze politiche e sviluppo internazionale, e già da allora ero orientata in questa direzione.

Poi ti capita di ritrovarti con i colleghi giusti, un bel ambiente e l’opportunità di fare qualcosa di buono. E questo vale per SOS.

Ale: Vado subito al punto: cosa vuol dire “Innovare” nel fundraising e più in generale? Come possiamo beneficiarne come enti del terzo settore?

Un approccio o una definizione che per me ha molto senso è quella di vedere l’innovazione come un modo per accelerare lo sviluppo di soluzioni, in modo sistematico, interattivo e incentrato sull´individuo.

Sistematico nella misura in cui il processo di innovazione si compone di una serie di step logici da compiere, e lo si può fare in maniera più estesa e completa, o più veloce, percorrendo quello che alcuni chiamano “Innovation Funnel”. Quest’ultimo, prevede una serie di passi che vanno dalla necessità di definire momenti di creatività, all´esigenza di concentrare il focus su ciò che è rilevante: assicurandosi sempre di non perdere di vista le esigenze del pubblico di riferimento. Grazie all’innovazione si può fare la differenza, offrendo – tramite idee nuove – valore e soluzioni ai problemi comuni.

E’ fondamentalmente tenere d’occhio i test costantemente, non essere troppo perfezionisti ma osare e proporre cose nuove. E se il nostro approccio funziona, continuare a implementare il progetto. Se invece non funziona, non mollare.

Ale: in cosa dovremmo innovare, quindi, nel nonprofit più in generale e nel fundraising?

Anne: cambiando un po’ il modo in cui lavoriamo, l’approccio stesso.

Spesso puntiamo a progetti grandi e sfidanti da un punto di vista strategico. Questa “grandezza” però, nella realizzazione concreta, si trasforma e diventa “complessità”.

…pensiamo all´innovazione come qualcosa di estremamente tecnologico: fantastiche funzionalità e nuovi tool, roba complicata. E dimentichiamo la cosa più importante: la necessità di tornare alla radice, all´essenza del problema che vogliamo risolvere.

Penso che dovremmo concentrarci sul parlare alle persone, ai nostri beneficiari e ai nostri donatori, tornare al “piccolo”, empatizzare con loro. Capire e raccogliere  I loro bisogni, e poi utilizzare la nostra esperienza e le nostre capacità per sviluppare soluzioni ottimali a questi.

Ale: Mi è piaciuto molto quello che hai detto rispetto al fare degli errori, al “fallire”. Se ho capito bene, è parte del processo di innovazione e del successo stesso.

Anne: Sì! Non si tratta solo di imparare dai fallimenti, ma di essere pronti a fallire. Su 100 idee magari solamente 10 sono valide, e alla fine ne approvi solo 2. E non siamo abituati a questo, a lasciare andare; tendiamo invece ad affezionarci a qualche idea che ci sembra migliore di altre. In questo dovremmo essere più innovativi, nel tornare all´elemento principale, nel focalizzarci sulla cosa più importante: qual è il problema da risolvere?

Non credo che dedichiamo abbastanza tempo alla comprensione del problema. Tendiamo a dare per scontato e a “tirare ad indovinare” secondo il nostro criterio, per poi sviluppare soluzioni.

Ale: Ok, quindi il punto di partenza è sempre quello di guardare in profondità, capire il problema. Pensare all´innovazione senza questo passaggio preliminare, forse non ha senso.

Anne: Sì, direi di sì. Dare per scontato che la vostra idea soddisfi le esigenze dei donatori potrebbe facilmente creare una discrepanza tra ciò che state sviluppando e ciò che realmente soddisfa le esigenze dei donatori.

Ale: in tre punti, in che cosa dovremmo innovare nell´ambito del Fundraising?

Io indosso il cappello dell´individual giving, quindi potrei essere condizionata da questo

  1. Essere rilevanti e attrarre nuovi target e nuovi donatori, magari più giovani, o semplicemente diversi da quelli che di solito raggiungiamo, storicamente.
  2. Donatori con possibilità alte di spesa: dove sono? Quali canali presidiano? Come attrarli? Ottenere contributi regolari da questi donatori. Coinvolgerli ed includerli maggiormente nel nostro lavoro.
  3. Poi c’è un´altra area, quella in cui si muove tanto denaro, l´area dell’investimento a impatto. Credo che noi, come ONG, potremmo giocare un nuovo ruolo. Uno dei progetti che è stato finanziato in SOS, vincendo una sovvenzione attraverso l’iniziativa Reimagining Fundraising, andava proprio in questa direzione.

In questo senso credo che dovremmo rompere i confini tipici tra il settore sociale, le ONG e il settore privato, e rimescolarli.

Un altro trend da menzionare è quello dei modelli predittivi. Come utilizzare i dati nel modo piu´efficace, per incrementare la nostra rilevanza, In particolare quando si tratta di fidelizzare I nostri donatori.

Ale: Anne, attualmente sei Leader di due progetti sull´Innovazione, entrambi globali: l´”Innovation challenge”, progetto interno ad SOS, e “Reimagining fundraising”, condiviso con altre associazioni e altri player del settore.  

Anne: Si! L´Innovation challenge è tutt’ora, un progetto pilota. Dopo aver ricevuto un finanziamento da parte di un paese membro della federazione molto visionario e attivo sul tema abbiamo creato un “Innovation Fund”, e una vera e propria challenge globale interna all´Organizzazione.

Come primo step abbiamo definito i “problemi”,  i “bisogni” e le principali sfide dei vari Paesi SOS in termini di fundraising, attraverso interviste e survey dirette ai responsabili delle aree fundraising di ogni paese dove è presente SOS.

Il risultato ci ha permesso di identificare due priorità´, che abbiamo chiamato “challenge areas”:

  • Raggiungere nuovi target audiences;
  • Aumentare la rilevanza di SOS agli occhi dei donatori, per aumentare la retention e la fidelizzazione nel lungo periodo.

Successivamente abbiamo lanciato la sfida a livello globale, chiedendo a tutti i Paesi membri di partecipare con idee innovative e di rispondere alla domanda “come possiamo risolvere questi problemi”? E´ stato davvero molto eccitante, abbiamo ricevuto ben 39 proposte.

Come step successivo, abbiamo creato un processo di valutazione delle idee, basato su dei criteri spefici: “innovatività´” dell´idea, realizzabilità, desiderabilità e così via.

Sei progetti hanno vinto la sfida e hanno ricevuto un ticket per un programma di accelerazione (prendendo in prestito dunque un gergo e una modalità di lavoro tipica dell’ambito delle start-up e degli incubatori di start-up), un programma che ha lo scopo di validare, o accelerare la validazione della loro idea. Un processo intenso e strutturato, di sei mesi, in cui si lascia da parte l’idea per un momento, e si torna allo studio del problema. Poi si passa alla fase dello sviluppo della soluzione, attraverso la creazione e il test dei prototipi. Il focus è in particolare sulla desiderabilità.

Fra questi sei, quattro sono stati finanziati per un ulteriore ampliamento del test e del pilota. E l’anno prossimo vedremo quale sarà il risultato.

L´ambito dei progetti varia da Not Fungible Tocken (NFT), fidelizzazione dei donatori e reward system, a un sistema innovativo di matching fra i progetti finanziabili che l´organizzazione deve implementare, e gli interessi specifici dei Corporate partners. Quindi Corporate Fundraising.

Un quarto è invece sul “generational fundraising” e ha lo scopo di incrementare la rilevanza (di SOS) verso donatori nuovi, di un segmento specifico di età e interessi.

Ale: dunque la partecipazione dei Peasi della Federazione è stata buona.

Anne: è stata fantastica! Hanno partecipato 24 Paesi alla sfida, da tutte le regioni del mondo.

Ci si potrebbe chiedere, perché lanciare un progetto del genere internamente? Molte delle sfide sull’innovazione vengono affrontate all´esterno e dall´esterno. Ne è un esempio l´iniziativa Reimagining fundraising.

La risposta è che vogliamo costruire capacità interne e mobilitazione, concentrandoci sui temi dell´innovazione. Un aspetto, questo, che ritengo fondamentale.

Abbiamo bisogno degli input esterni, certo, ma dobbiamo essere pronti ad assorbirli. E’ necessario lavorare sia sulla preparazione e sulla capacità interna, sia sugli input esterni, e pensare al di fuori del nostro normale contesto organizzativo.

Ale: ancora una domanda in merito al processo. Vi siete avvalsi di collaboratori esterni o consulenti?

Per l´accelerator program e per il design del progetto abbiamo chiesto aiuto ad un esperto in processi di innovazione. Non solo per una questione di tempi e risorse ma perché´, in particolar modo rispetto all´accelerator, la metodologia è una vera e propria competenza, di cui avevamo bisogno.

Credo che in futuro saremo in grado di gestire internamente anche questo aspetto, ma non sottovaluterei per il momento l´importanza di avvalersi di esperti su questa metodologia specifica.  Questo approccio strutturato ci ha davvero aiutato a lavorare in un modo cui non eravamo abituati.

Ale: credi che questo sia un limite del nostro settore? Mancano queste figure?

Anne: si, dal punto di vista del (design thinking), senza dubbio. Mi è capitato ultimamente di confrontarmi con i responsabili di comunicazione e fundraising sulla necessità di reclutare persone con queste capacità.

Ale: cosa avresti ottimizzato in merito al processo? Quali sono le “lezioni imparate”?
Forse avrei gestito in maniera diversa i sei gruppi che hanno partecipato all´accelerator. Per loro è stato un percorso davvero molto intenso, in cui non solo hanno dovuto imparare la metodologia, quindi il modo sistematico e iterativo di lavorare, ma preoccuparsi di vedere realizzato il proprio progetto.  Quindi diciamo che hanno avuto un bel po´ di lavoro da fare.

Anche la lingua ha rappresentato un ostacolo in alcune occasioni. Forse delegare una parte del processo alle Regioni della Federazione, aiuterebbe.

E poi abbiamo lavorato prettamente online, ma come sappiamo alcune sfaccettature si percepiscono solo di persona.

Ciò che ha funzionato davvero bene è stata la mobilitazione per lo sviluppo delle capacità e la sensibilizzazione sul tema. E anche il sostegno, in particolare a queste sei équipe, nel lavorare alla loro idea di raccolta fondi.

Ci sono tre diversi livelli di innovazione: il primo livello è rappresentato dall’ottimizzazione; il secondo livello dall´espansione verso nuovi pubblici e nuovi ecosistemi tecnologici. E il terzo è quello delle innovazioni dirompenti, che creano qualcosa di completamente nuovo, non solo per noi ma per il mondo. Quest´ultimo orizzonte non è stato considerato nell´innovation challenge, non abbiamo ricevuto progetti di questo tipo.

Se si vuole lavorare nella direzione dell´innovazione dirompente, quella davvero radicale, è necessario definire strategicamente quali sono le aree in cui dobbiamo trovare nuove soluzioni e i problemi che dobbiamo affrontare. Poi creare un gruppo mirato, composto da 1-2 Paesi membri interessati e da esperti interni ed esterni selezionati, e procedere a uno sprint intensivo di 3-6 mesi. A mio parere, questa potrebbe essere la direzione da seguire.

Ale: raccontaci che cos´è “reimagining fundraising”?

Si, Io e la mia collega Ragna Schwung, siamo parte del core team della versione 2022 di Reimagining fundraising (https://reimaginingfundraising.hypeinnovation.com) , la seconda dopo il 2020.
Si tratta di una collaborazione fra 12-14 fra le piu´ grandi ONG al mondo. È un esempio fantastico di come nel nostro settore si possano trovare soluzioni insieme. È un ambiente di individui, di colleghi, uniti dalla volontà di risolvere problemi in modo innovativo. Il mondo corre veloce, i cambiamenti in ambito tecnologico sono moltissimi, e collaborare, ragionare insieme, è fondamentale per trovare soluzioni di cui possiamo beneficiare tutti.
Rispetto all’edizione del 2020, questa volta abbiamo dato maggiore enfasi all’esplorazione dei problemi e delle sfide e abbiamo avviato una fase di crowd sourcing per ottenere soluzioni a queste, da parte di startup, istituti di ricerca, agenzie, aziende ed altri soggetti.

Dopo avere identificato le sfide e i problemi comuni, abbiamo ricevuto 142 proposte dai vari soggetti che dicevo. Lo step successivo è stato quello di capire quali di queste offrisse soluzioni concrete ed innovative, selezionarle dunque ed abbinarle ai problemi.

Rispetto alla precedente edizione, abbiamo dato maggiore priorità alla fase di implementazione. La lezione che abbiamo imparato nel 2020 è che è facile ideare, difficile realizzare (tempo, investimenti, risorse), e spesso ci si perde in altre priorità operative. Quindi quest´anno il focus e´ proprio sull’implementazione.

Ad oggi sei progetti sono stati ufficialmente finanziati  (qui trovi la lista dei progetti): per supportare la condivisione, sia in termini di risultati che insight ed errori, abbiamo creato un gruppo di lavoro dove i responsabili dei 6 progetti finanziati hanno modo di dialogare al fine di implementare al meglio i singoli progetti innovation hub su bassa scala. Sono davvero curiosa di vedere a cosa ci porterà, cominceremo ufficialmente nel 2023.

In generale sono molto contenta di questa iniziativa, spero che riusciremo a fare un po´ di eco, non solo internamente ad SOS ma anche altri network.

Ale: grazie per il tuo tempo Anne!