Marco Buemi
Storie di nonprofit

Marco Buemi: Come comunicare la Diversity & Inclusion nel nonprofit

Gestire la diversità: una sfida sempre attuale e sempre presente che negli ultimi anni sta assumendo un’importanza fondamentale per ogni organizzazione.

Ti sei mai chiesto quanto il modo di operare della tua nonprofit sia inclusivo e attento alla cultura delle differenze? 

Ne parleremo Marco Buemi, da oltre 15 anni esperto di diversità e inclusione al prossimo Nonprofitday che si svolgerà online il 26, 27 e 28 ottobre 2021.

Tabella dei Contenuti

Marco Buemi, la Diversity&Inclusion

Marco, esperto di diversità e inclusione sociale, ha iniziato la sua carriera lavorando per il governo svedese. Ha poi deciso di tornare in Italia e per 12 anni ha lavorato come esperto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.


Ha partecipato alla stesura della carta per le Pari Opportunità italiana e al working group delle Diversity Charter della Commissione Europea. 
Ha inoltre preso parte al progetto  Inclusive Mindset, alla piattaforma DNA-Difference iN Addition. 

Dal 2021, è un esperto valutatore della Commissione Europea per il programmaCitizens, Equality, Rights and Values (CERV)sui progetti di Diversity&Inclusion. Insegna al Master di Welfare Community Manager presso l’Università di Bologna e ha pubblicato articoli e diversi libri.

Insomma, una sessione da non perdere. E ora… partiamo con le domande!

Ci descrivi il tuo percorso persona e professionale? 

Partiamo dall’inizio, dai miei studi. Ho studiato relazioni internazionali tra l’Università di Bologna e quella di Stoccolma. Ho fatto la tesi in Svezia, sulle politiche di welfare in un modello avanzato come quello svedese: è stata la svolta. Ho avuto la possibilità di approcciarmi dal punto di vista teorico e di studio sui temi dell’inclusione e ho imparato moltissimo.

Poi sono partito per un lavoro in India.  E’ stato come andare dalla Terra su Marte, un cambiamento enorme, un paese completamente diverso dalla Svezia, dove l’inclusione non esiste.

Dopo l’india sono tornato in Svezia e lì è nata la mia carriera professionale.
Ero deciso a lavorare sui temi dell’inclusione e alla fine sono riuscito a trovare lavoro nel governo svedese, nell’ Ombudsman (difensore civico).
Si tratta di un ufficio che in Svezia esisteva già nel 1986. Poi il modello si è diffuso in tutta Europa e dal 2000 è diventato obbligatorio in tutti i paesi europei, ma al tempo quel lavoro all’Ombudsman era davvero all’avanguardia.

 
Come mai sei tornato in Italia?

È stata proprio l’esperienza al governo svedese che mi ha riportato in Italia. Nel 2003, in recepimento della Direttiva 43/2000/CE, nacque un ufficio contro le discriminazioni all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità. Mi chiamarono dalla Svezia per seguire la start-up di questo nuovo ufficio.

Sono arrivato nel 2005. Sarei dovuto rimanere un anno, invece ho lavorato al dipartimento fino al 2016. Il lavoro da fare era davvero tanto!

 
Cosa hai/avete realizzato i questi anni?

Io ero responsabile della unità interna sulla Diversity & Inclusion.
Avevo l’obiettivo di svilupparla da zero. E così ho fatto.  Prima con accordi con sindacati, poi con azioni strategiche rivolte ad aziende. Sono stati anni pieni di progetti, eventi, formazioni.
Oltre al nostro budget lavoravamo molto con fondi europei diretti e indiretti, perciò facevo capo anche al lavoro sulla progettazione e sul finanziamento dei progetti.

Nel 2016 ho chiuso la mia esperienza al governo e mi sono dedicato a diversi progetti con alcuni dei partner con cui avevamo lavorato per anni. Ad esempio nel 2020, in piena pandemia, mi sono dedicato come project manager allo sviluppo di una piattaforma multi-stakeholder. La piattaforma, DNA, Difference iN Addition, si occupa dell’inclusione della diversità facendo matching tra le aziende e i candidati spesso discriminati nel mondo del lavoro, la creazione di un Osservatorio insieme all’università La Sapienza e L’Università di Bologna, la formazione , la progettazione e altre azioni molto concrete.

 
Hai detto che ti sei occupato anche di bandi e fondi europei, ci parli un po’ di questa attività?

Più che dei progetti che ho seguito in passato, vorrei raccontare quello che sto facendo ora, perché potrebbe anche dare degli spunti a qualche fundraiser che si occupa dell’argomento.

Da giugno di quest’anno sono diventato un esperto valutatore della Commissione Europea sul programma CERV Citizens, Equality, Rights and Values. Mi occupo della valutazione di progetti relativi alla diversity& inclusion, insieme ad altri 2 valutatori ognuno residente in un paese diverso del UE. Dico che è interessante perché ad esempio quest’anno abbiamo valutato 25 progetti, è un’area dove ancora le organizzazioni hanno un grande spazio di crescita.

 
Qual è stato il punto più importante della tua carriera?

Il punto più importante, è stato l’inizio. Quando ho deciso di seguire la mia passione, il tema dell’inclusione per farla diventare un lavoro.
Il lavoro in Svezia mi ha fatto riflettere ancora di più su come il tema dell’inclusione si leghi a quello di bene pubblico, di senso civico, pragmatismo in un percorso di sostenibilità a 360°.

 
E il momento più duro?

Come ho già accennato uno dei momenti più difficili è stato il passaggio dalla Svezia all’India. Dal paese più egualitario al mondo a quello meno inclusivo. Basti pensare che le caste legalmente sono state abolite nel 1950, ma nella pratica quotidiana continuano a esistere.

Quando ti scontri con un livello di discriminazione così grande, devi rivedere tutti i tuoi paradigmi, il tuo modo di relazionarti, di parlare con la gente. Vedere che esiste questo tipo di mondo crea dei cambiamenti in te.

La Diversity&Inclusion, dalla teoria alla pratica

Cos’è la Diversity&Inclusion? 

La Diversity&Inclusion ha a che fare con la valorizzazione delle diversità e l’inclusione delle persone, ma in particolare si concentra sul mondo del lavoro. E su come le attività manageriali – quelle delle risorse umane – vadano verso il tema dell’inclusione della diversità.

Come si affronta la diversità all’interno dell’azienda?

Si parte dalla scelta del candidato. Sulla carta il requisito è la scelta del candidato migliore, ma poi spesso a parità di CV un disabile è penalizzato rispetto a un normodotato, oppure se uno proviene da un paese straniero con un titolo di studio, per esempio dell’Università di Nairobi, passa in secondo piano rispetto a un italiano e così via.

Poi c’è la gestione della diversità in azienda. Asili interni per sostenere i lavoratori con figli, mense curate in base a principi religiosi, ad esempio con attenzione sull’uso del maiale, vacanze in periodi dell’anno non solo legate a festività cattoliche ecc. Insomma, tutte quelle attività verso il personale che evitino conflitti all’interno dell’azienda.

Voglio fare un esempio personale per far capire che l’inclusione della diversità è un tema estremamente concreto e che tocca tutti. 
Io ho vissuto per molto tempo all’estero e, da straniero, ho sperimentato vari contesti discriminatori. In Svezia ad esempio, ai colloqui partivo sempre svantaggiato. Questo per dire che tutti possiamo essere discriminati, per questo l’argomento è importante. Anche se ci sentiamo dei privilegiati e ci disinteressiamo dell’argomento, perchè pensiamo che non ci riguardi, dobbiamo tenere presente che la nostra condizione può sempre cambiare.

Comunicazione, linguaggio e inclusione

Quanto è importante la comunicazione rispetto al tema dell’inclusione sociale?

La comunicazione su queste tematiche è essenziale, è tutto.
Ogni giorno siamo bombardati di informazioni e dibattiti relativi al linguaggio e alla diversità, sui social, in TV, sui giornali. Ovunque. Per citare solo gli ultimi, il DDL Zan con tutte le fazioni, il tema relativo all’inclusione dei migranti, gli Afgani che stanno arrivando. Il problema è che molto spesso questi temi sono affrontati con una terminologia totalmente sbagliata. Correggere il linguaggio è un lavoro essenziale per ragionare sulla Diversity&Inclusion.

 
Ci fai qualche esempio di come l’inclusione sociale abbia concretamente a che fare con il linguaggio?

Senza entrare nel merito politico, ti faccio l’esempio di una parola. Clandestino. Abbiamo fatto uno studio e negli altri paesi non esiste una parola con la stessa valenza. Ogni persona che entra in un altro paese ha uno status, può essere un migrante economico, religioso, un richiedente asilo, un rifugiato politico ecc. Se invece uso la parola clandestino sto usando un linguaggio sbagliato, che produce discriminazione. ad esempio in Svezia sarà difficile vedere sui media una terminologia sbagliata per i migranti che arrivano nel paese, perché c’è molta attenzione su questi temi.

 
Cosa pensi del ruolo dei social rispetto all’importanza del linguaggio e dell’integrazione?

I social ci hanno messo di fronte a una sensibilità crescente rispetto all’argomento dell’inclusione. Le parole sono pallottole se usate nel modo sbagliato. E i social hanno amplificato l’attenzione verso il linguaggio e l’inclusione.
Si è creato un forte dibattito sul tema, e il dibattito crea anche sensibilità. Non sempre il dibattito è di qualità nei contenuti, anzi spesso leggo dibattiti scadentissimi sui social. Discussioni impregnate di pregiudizi che non portano nessun valore aggiunto nè in chi li scrive, né in chi li legge.

I social sono visti spesso come un demone, però hanno il vantaggio di aver sdoganato argomenti che prima non emergevano. Prima i temi relativi alle diversità si affrontavano soprattutto tra 4 mura, adesso è un’agorà pubblica.
Ad esempio, qualche anno fa quando si parlava di identità di genere nessuno sapeva cosa fosse, ora è un argomento ampiamente dibattuto.

 
Come il tuo speech può tornare utile ai partecipanti del Nonprofitday?

Come ho già anticipato, la comunicazione è fondamentale in un’organizzazione.
Si pensa che le nonprofit, dato che lavorano per promuovere cause sociali, siano all’avanguardia rispetto alle aziende sui temi di inclusione sociale. Ma non è così.

Anzi, spesso mi capita di constatare che proprio le organizzazioni nonprofit hanno difficoltà sui processi inclusivi verso l’interno, verso i propri dipendenti. O meglio, non se ne curano proprio. A differenza delle aziende, dove sta iniziando a diventare una policy aziendale affermata.

E difficoltà simili li vedo a volte anche verso l’esterno. Molte organizzazioni sono preparate sul loro argomento, sulla loro causa, ma quando escono dal loro campo, fanno errori di comunicazione.

E al giorno d’oggi questi errori possono portare conseguenze anche molto gravi a livello di reputazione e fiducia: durante il mio speech vedremo vari esempi concreti presi da organizzazioni profit e nonprofit.

Spero che alla fine del mio discorso i partecipanti portino nelle loro organizzazioni la consapevolezza che la comunicazione è importante. Sicuramente come fai le cose è centrale, ma anche saperle raccontare all’interno e all’esterno in modo corretto è altrettanto importante.

 
Un libro che consiglieresti di leggere?

II coraggio di essere felici. L’autentico cambiamento è nelle nostre mani. Si tratta di un romanzo, un best seller giapponese.
I protagonisti sono un saggio e un giovane, che cerca la strada per essere felice.
Il saggio è convinto che il mondo sia semplice e la felicità a portata di tutti, basta vivere nel presente e non farsi condizionare dal giudizio degli altri. Cosa serve per far questo? Il coraggio. E il coraggio alla fine lo troviamo sempre dentro quelle persone che affrontano la diversità. Per me questo libro è il simbolo di come coraggio e lotta alla discriminazione siano due temi strettamente legati.  

 
Ci lasci una citazione che rappresenti il tuo lavoro e ci spieghi il perché?

la mia citazione è ripresa da uno dei più grandi uomini di affari sul pianeta, Warren Buffet, ma anche un grande filantropo.
Lui diceva “ci vogliono 20 anni per costruirsi una reputazione, ma bastano 5 minuti per distruggerla”. Questa citazione mi rappresenta perché, come dicevo prima, sintetizza l’importanza del linguaggio e di una comunicazione corretta. 

Anteprima Nonprofit Day

Ti sei mai chiesto se il modo di operare della tua nonprofit sia inclusivo e attento alla cultura delle differenze?

 Comunicare con efficacia – all’interno e all’esterno della tua nonprofit – l’effettiva aderenza a progetti, che nella quotidianità promuovono il rispetto, l’inclusione, l’integrazione e la ricerca di valore dato dalla diversità, è senza alcun dubbio un fattore strategico per far crescere la reputazione della tua organizzazione e farla diventare un esempio di riferimento per il settore in cui opera.

Impara a comunicare la diversità e scopri come diventare un esempio di riferimento per il tuo settore!

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