quando il fundraising salva la cultura
Storie di nonprofit

Quando il Fundraising salva la cultura. Il caso del museo Victoria&Albert

Fondi statali e donazioni private per un museo

Cosa succede ad un museo quando le erogazioni statali vengono drasticamente tagliate?

Rinasce grazie alle donazioni dei privati. Fare fundraising nel museo è stata la chiave per il rilancio.

Non è ovviamente una regola ma nemmeno utopia. È quanto successo, infatti, oltre manica nel museo inglese Victoria&Albert situato nell’elegante quartiere londinese di South Kensington. Un modello a cui le istituzioni culturali di tutto il mondo dovrebbero guardare, in un periodo in cui i tagli alla cultura accomunano la maggior parte dei governi.

Nel caso specifico, la riduzione dei finanziamenti pubblici è stata pari al 15%, da 44 a 37 milioni di sterline di erogazioni statali. Una perdita considerevole per un museo a entrata libera, che fa pagare il biglietto solo per le mostre. Eppure a fronte di una diminuzione dei soldi pubblici, il Victoria&Albert ha messo a segno acquisizioni importanti, ha ristrutturato il 75% delle gallerie e ha registrato un’impennata dei visitatori. Lo scorso anno, questi ultimi hanno raggiunto la cifra record di 3 milioni e 300mila, un numero che quadruplica quello di 15 anni fa e – per prendere un esempio italiano- stacca quasi del doppio quello degli Uffizi di Firenze (1 milione 971mila visitatori nello stesso periodo).

Un nuovo modello per la gestione del museo, basato sul fundraising

A fare la differenza è stato il fundraising che, nel 2015, ha toccato la quota record di 25milioni di sterline.

A mettere mano al portafoglio sono stati privati e Fondazioni che hanno spinto il museo londinese a rodare un modello gestionale innovativo e creativo. In una parola, vincente.

Ovviamente, accanto alla raccolta fondi, la struttura ha predisposto un corollario di iniziative che le permettono di generare incasso. Corsi per i cittadini, tenuti da esperti e docenti e un ricco programma di eventi che mira a dare un significato nuovo alla parola museo. Il nuovo museo deve essere un luogo vivace e spazzare via la vecchia idea di un luogo fermo, in cui ammirare opere d’arte.

La situazione in Italia

Un modello vincente che potrebbe salvare le nostre opere d’arte di pari passo ai bilanci dei musei italiani e, dunque, alla nostra cultura.

Il nostro Paese è, infatti, quello con più siti Unesco “patrimonio dell’umanità”. L’Italia avrebbe un grande potenziale, oltre che un grande bisogno, per applicare il fundraising a musei e siti culturali. Già nel febbraio del 2011 sulle pagine del Corriere della Sera, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella quantificavano il danno culturale ed economico di una sciagurata gestione delle ricchezze culturali italiane.

Le gallerie della Tate Britain – scrissero i due giornalisti – hanno «fatturato» nell’ultimo anno fiscale 76,2 milioni di euro. In Italia i biglietti di tutti i musei e i siti archeologici statali messi hanno fatturato 82 milioni.

Il merchandising ha reso nel 2009 al Metropolitan Museum quasi 43 milioni di euro. Il merchandising di  tutti i musei e i siti archeologici in Italia solo 39,7. Ristorante, parcheggio e auditorium dello stesso museo newyorkese hanno prodotto ricavi per 19,7 milioni di euro, tre in più di tutte le entrate di Pompei, il nostro gioiello archeologico.

Il confronto tra il modello anglosassone e quello italiano fa saltare agli occhi il potenziale sprecato di tutte le ricchezze artistiche -mal gestite- del nostro paese.