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Sara Duranti, migliorare la comunicazione per rendere lo smartworking davvero efficace

La più grande passione di Sara è  comunicare per costruire relazioni e sinergie.

Sara è consulente di comunicazione strategica, content manager e content specialist freelance.

Lavora da remoto da quando ne ho memoria.

I suoi ultimi lavori: Digitaliano: pratiche di scrittura quotidiana e professionale”. Libro a cui ha contribuito con un capitolo sull’importanza del blog nella comunicazione e dei contenuti per costruire relazioni.

Ha anche un blog, www.digitalcollab.it uno spazio dedicato al remote working e alla digital collaboration.

In attesa del suo intervento al Nonprofit day del 26,27 e 28 ottobre abbiamo parlato con Sara di come migliorare la comunicazione tra colleghi, colleghe e collaboratori di ogni tipo, per rendere lo smartworking davvero efficace.

Cosa troverai in questo articolo

Il lavoro da remoto, 10 anni fa

Lavorare fuori dall’ufficio è un’idea che 10 anni fa sembrava impossibile, ma tu hai deciso di portarla avanti. Ci descrivi il tuo percorso personale e professionale? Come hai iniziato?

Il mio percorso professionale inizia, come quello di molti con l’università e si intreccia con la crisi economica che tutti abbiamo vissuto. Io ero appena laureata in quegli anni, e cercavo lavoro. È stato difficile, ma per me quella crisi, anche se nella difficoltà, è stata un’opportunità, perché mi ha spinto a aprire la mente, a uscire dalla mia comfort zone, a superare i miei limiti.

La prima cosa che ho notato mentre cercavo lavoro è stato una sorta di paradosso. Io sono di Viterbo e tutte le occasioni di lavoro erano su Roma. Perciò la scelta era tra viaggiare ogni giorno su Roma, con collegamenti pessimi e stare fuori casa 13/14 ore tra lavoro e viaggio. Oppure pagare una stanza a Roma e non arrivare a fine mese.

Ho iniziato facendo avanti e indietro e non avevo più tempo per fare nulla, formarmi, studiare, fare sport, curare i miei hobby. I miei genitori mi dicevano che non ero propensa a fare sacrifici.
Allora ho resistito, ma a un certo punto mi sono resa conto che era una situazione paradossale, ho mollato il lavoro e sono andata a vivere a Londra.

Sono andata a Londra perché cercavo persone che avessero un modo più aperto di concepire il lavoro. E l’ho trovato. Ho visto gente che lavorava al parco, al bar. Lavoravano nel digitale, come me, un settore dove per lavorare era sufficiente avere un PC e un cervello.

Perché in Italia non si poteva fare?
Dopo questa esperienza, sono tornata nel mio paese e ho deciso che volevo importare la mia attività sul lavoro da remoto.

Le aziende ovviamente erano restie, volavano che andassi in sede. Allora ho iniziato a propormi io con un nuovo format, ho aperto la partita Iva. Volevo essere libera di decidere come gestire il mio tempo.

Quando hai iniziato con lo smartworking era una modalità davvero poco diffusa, sei stata una pioniera. Come hai capito che potesse essere una possibilità concreta per lavorare?

Non sono propriamente una pioniera dello smart working, nel senso che ho iniziato lavorando in proprio da remoto. Smart working è una terminologia che in genere si usa per chi ha un contratto da dipendente e non lavora dall’ufficio.

Lo smart working vero e proprio l’ho sperimentato con il lavoro per Spremute Digitali, una rivista online con cui collaboro ancora oggi.
Devo dire che erano ancora più aperti di me, avevano già capito, prima che si iniziasse a parlarne in modo più diffuso, che il lavoro del futuro era il lavoro su obiettivi e che non serviva essere tutti sotto lo stesso tetto per portarsi a casa dei risultati. Quando ho iniziato a collaborare con loro, ho capito a fondo il progetto dello smartworking e l’ho abbracciato da subito il progetto dello smartworking.

Smartworking e organizzazione aziendale

Cosa è cambiato per te con la diffusione dello smartworking di quest’ultimo anno?

La pandemia ha aiutato alcune persone ad aprire la mente e a capire che ci sono modo diversi per lavorare.
Però, secondo me, è importante capire che quello che è successo in questo ultimo anno non possiamo chiamarlo smartworking. Il tipo di lavoro che abbiamo sperimentato durante la pandemia è un tipo di lavoro da remoto emergenziale.
Lo smart working per esistere ha bisogno di alcuni presupporti molto importanti, che riguardano diversi aspetti gestionali, organizzativi e di cultura aziendale.
Bisogna mettere in fila una serie di azioni per creare una situazione di smart working efficace. Si tratta di un processo aziendale, spesso anche complesso. Non si può dire dall’oggi al domani “siamo tutti in smart working”, soprattutto se non l’azienda non ha messo a disposizione dei dipendenti strumenti adeguati. In una situazione di emergenza come quella che abbiamo vissuto si pè vista una capacità di risposta e adattamento importante, ma un progetto di smartworking efficace è un’altra cosa.

Ci condividi qualche curiosità in anteprima sul tuo intervento al Nonprofit Day?

Condividerò con il pubblico due argomenti che mi stanno molto a cuore e che ritengo fondamentali per chi collabora da remoto: la comunicazione e la gestione del tempo.

La gestione del tempo, forse è un argomento più intuitivo. Non puoi stare 24h davanti al PC perché nessuno ti dice di spegnerlo. In ufficio a un certo punto si spengono le luci, a casa, dove il PC è sempre acceso, nessuno ti dice quando smettere. Sei tu che devi metterti dei limiti, dei paletti. Altrimenti si rischia di andare in bornout lavorativo.

L’altro elemento chiave dello smart working è la comunicazione interna al team. Vorrei aiutare quelle aziende e persone che nel lockdown si sono trovate spaesate, che non sono riuscite a mantenere un’interazione efficace con i colleghi. Non è un argomento scontato, è venuta a mancare la presenza, il guardarsi in faccia e inoltre, per molti il lavoro da casa non è stata una soluzione comoda, per questioni di spazi, di equilibri familiari, di disponibilità di device ecc.
Per un progetto di smartworking che funzioni, bisogna entrare nell’ottica che essere poco chiari nella comunicazione crea problemi, anche in azienda. Nel lavoro da remoto poi, quando non c’è la presenza, la gestualità, la ‘pacca sulla spalla’ è completamente deleterio.

Al Nonprofit Day darò dei consigli per strutturare la comunicazione nel modo giusto nel lavoro da remoto.
Condividerò dei processi e dei metodi che devono essere appresi e elaborati da tutto il team, esterno e interno. In modo che tutti abbiano la stessa visione di insieme delle cose e lavorino con gli stessi strumenti.

Anche questo è un problema, nonostante si mettano a disposizione deglli strumenti per collaborare da remoto, non sempre vengono capito appieno. A volte manca la formazione, oppure perché sono talmente tanti che il dipendente non riesce ad assimilarli.

La comunicazione in smartworking

In che modo il tuo speech può essere utile ai partecipanti del nonprofit Day?

Ci sono dei trucchi e delle modalità per poter lavorare bene da remoto e far sì che la comunicazione funzioni. Il mio speech sarà utile proprio per questo motivo, darò dei consigli che aiutino i dipendenti, i free lance e l’azienda a far funzionare la comunicazione digitale da remoto. Con il giusto mindset e i giusti strumenti, il lavoro da remoto è una risorsa meravigliosa per tutti i lavoratori perché puoi riappropriarti del tuo tempo e dei tuoi interessi. Io ad esempio viaggio molto durante il lavoro, in modo che nel tempo libero posso esplorare posti nuovi. Se lavori in ufficio questo non lo puoi fare.

Uno smartworking fatto bene è anche utile e flessibile per la gestione degli orari, per chi ha famiglia o qualsiasi esigenza particolare. Però ci vuole un management aziendale che sappia tenere le fila e far funzionare le cose.

C’è un libro che secondo te chi inizia a lavorare da casa dovrebbe leggere?

The power of habit, di Charles Duhigg. E’ il libro che mi ha aiutato a cambiare le mie abitudini. Il lavoro da remoto ha bisogno di un cambio di mindset. Bisogna essere molto disciplinati per lavorare in modo efficace senza essere in ufficio.
Ad esempio le distrazioni da casa possono essere tante, diversa da quelle che conosciamo in ufficio e quindi difficili da gestire. Però si può imparare. Questo libro mi ha aiutato a capire come cambiare le mie abitudini e impostarne di nuove per supportare la mia professione.

Anteprima Nonprofit Day

In questo ultimo anno e mezzo è venuta a mancare la fisicità, la presenza, il potersi guardare negli occhi e stringersi le mani. Una ricerca ha stimato che il 20% dei lavoratori in smartworking ha iniziato a parlare con i propri animali domestici per affrontare l’isolamento…

Insomma, i modi di lavorare sono cambiati e la situazione che abbiamo vissuto ha dato a questo una grande accelerata. Non ci resta che attrezzarci con degli strumenti adeguati e dei processi che facilitano la collaborazione tra colleghi, colleghe e collaboratori di ogni tipo, anche a distanza!

 

Insieme a Sara, scoprirai come:

 

  • Come strutturare un flusso di comunicazione che aiuti le persone a collaborare, a non sentirsi sole e abbandonate, e a non lavorare troppo e inutilmente;

 

  • Come gestire la comunicazione di team remoti (dove parte dell staff lavora da casa);

 

  • Quali strumenti abbiamo a disposizione per facilittare la collaborazione digitale

 

In un’epoca dove vengono a mancare sempre di più gli “sguardi d’intesa”, perché c’è uno schermo che fa da muro, è più importante che mai imparare ad essere più comunicativi per lavorare e collaborare bene anche a distanza!