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Tellmechallenge: dimmi che sei un fundraiser senza dirmi che sei un fundraiser

I social network sono una fucina di idee da monitorare.

A volte per trovare idee da replicare nella nostra raccolta fondi. Ma soprattutto sono utili per conoscere il linguaggio dei nostri donatori e potenziali tali, specie quelli più giovani, sempre più smaliziati e immuni ai messaggi autoreferenziali.

Oggi parliamo di una nuova challenge, #tellmechallenge. Che poi tanto nuova davvero non è, perché non fa altro che attivare uno dei mantra della comunicazione che il terzo settore ancora fatica a fare proprio.

Cosa troverai in questo articolo

Cos’è una #Tellmechallenge

Challenge e social: di cosa stiamo parlando

Si chiama tellmechallenge ed è una delle innumerevoli challenge che girano sui social.
Ora se sei un fundraiser, o anche solo se sei in vita da più di 7 anni, alle parole challenge e social avrai subito pensato alla icebucketchallenge.
Ebbene sì, siamo lì. Si tratta di qualcuno che si inventa un qualche tipo di sfida o di prova, la mette online e invita altre persone ad affrontarla a loro volta.
Alcune di queste prove diventano virali e fanno il giro del mondo, come per l’appunto la IBC che raccolse centinaia di milioni di dollari in favore della ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica.

Altre invece muoiono dopo poche condivisioni, come sanno bene tutti i colleghi fundraiser o campaigner che ancora tentato di bissare il successo dell’IBC.

I giochi di quartiere, gli antenati dei social 

Ora queste challenge non se le sono inventate i millenials.
Le facevo anche io da piccolo. Spesso erano dei veri e propri rituali che servivano a determinare il proprio ranking nel gruppo sociale di riferimento.
Farsi esplodere le miccette sulla mano.
Entrare nella casa abbandonata.
Discese spericolate in bicicletta.
Robe così, che in genere finivano tra risate o al pronto soccorso, quando non proprio in risate al pronto soccorso.

Al tempo però queste challenge riguardavano poche persone che si conoscevano tra loro.
E io non mi sognavo certo di metterle sui social, anche perché se lo avessi fatto, considerando che i social negli anni ‘90 non esistevano, adesso sarei tipo ricco sfondato.

Ma questa non è la storia di come non sono diventato il Mark Zuckerberg di Ostia. Questa è la storia di come questa tellmechallenge è una vera e propria lezione per chi vuole fare comunicazione.

Dimmi che sei un fundraiser senza dirmi che sei un fundraiser

Il tema di questa challenge si gioca infatti sul “tell me without telling me”, ovvero, dimmi qualcosa senza dirmi quella cosa. Ne troverete online migliaia di declinazioni più o meno divertenti.
Dimmi che sei italiano senza dirmi che sei italiano.
Dimmi che studi tedesco senza dirmi che studi tedesco.
Dimmi che sei bionda senza dirmi che sei bionda.
Dimmi che hai un fratello gemello senza dirmi che hai un fratello gemello.

3 spunti da portarci a casa

Cosa ci insegna la #tellmechallenge? Cosa possiamo portarci a casa per ripensare il nostro modo di raccontare le cause delle nostre organizzazioni?

Stimola la curiosità

Per una tell me challenge ben riuscita quindi, bisogna dire qualcosa alludendo, facendolo capire, dicendolo a metà, ecc. La sfida sta proprio nel far capire cosa vogliamo comunicare, senza però dirlo apertamente.

Insomma, il gioco è questo e no, non vi sto proponendo di aprirvi Tik Tok e iniziare a fare video. Non sto nemmeno dicendo che sia sbagliato dire le cose come stanno senza giri di parole. Essere chiari è semmai un punto di forza. Ti voglio bene. Per me sei importante. Grazie di avermi fatto da garante per il mutuo son tutte belle e rispettabilissime frasi.

Ma comunicare con il fine di coinvolgere il nostro pubblico richiede spesso qualche sforzo in più.

E a volte, tenendo fermo il nostro compito comunicativo, ovvero il messaggio che dobbiamo recapitare, può essere utile fare… un giro un po’ più largo.

Nella tell me challenge, che in genere viene realizzata attraverso brevissimi video, c’è qualcosa che viene mostrato che sta a significare altro e noi siamo invitati a completare il senso del messaggio come se si trattasse di un piccolo rebus.

Rompi gli schemi

Facciamo qualche esempio di challenge che un fundraiser o un comunicatore del sociale potrebbe raccogliere, per parlare al proprio pubblico in modo nuovo, rompendo qualche schema ormai obsoleto.

Dì a un donatore che è importante senza dirgli che è importante.

Dimmi che ami i tuoi beneficiari senza dirmi che li ami.

Dimmi che gestisci onestamente le donazioni senza dirmi che gestisci onestamente le donazioni

Dimmi che mi posso fidare senza dirmi che mi posso fidare.

Dimmi che questo progetto è ambizioso senza dirmi che è ambizioso.

Dimmi che i tuoi volontari sono fondamentali senza dirmi che sono fondamentali.

Dimmi che sei orgoglioso di lavorare per la tua ONP senza dirmi che lo sei.

Con una frase, un video, una fotografia, una lettera, un qualsiasi strumento di comunicazione, un audio whatsapp, se trovi un modo di dire queste cose senza dirle il coinvolgimento del tuo pubblico sarà maggiore.

Prendi quindi questi esempi non come esercizi da svolgere, ma come delle mappe con le quali orientarti nel pensare tutta la tua comunicazione.

Smetti di metterti al centro

Le persone sono sempre più smaliziate, sempre più insofferenti ai messaggi promozionali e autoreferenziali.
Non è possibile superare il noto paradosso dell’oste e del vino: siamo sempre noi a parlare e noi parleremo sempre bene del nostro vinello.
Ma possiamo provare a farlo in maniera più morbida, più orizzontale, cercando di entrare in empatia con le persone che ci seguono.

Come nella tellmechallenge, impariamo a dire qualcosa senza dirlo direttamente e smettiamo di essere autoreferenziali.

Quindi non so a voi ma a me questa tell me challenge piace molto.
Che poi se vogliamo è solo una variazione del vecchio e caro “show don’t tell”. Ma questo ai TikTokers non glielo diremo.